"Dispatches from Elsewhere" è la surreale e coinvolgente serie Tv firmata da Jason Segel (che l'ha ideata, scritta, interpretata e di cui ha girato alcuni episodi) e spiegarvi di cosa si tratta non sarà per niente facile.
La serie è stata ispirata da un documentario del 2013 dal titolo "The Institute" basato a sua volta su una storia vera: un gioco di realtà alternativa ambientato a San Francisco, che si sviluppò nel corso di tre anni e coinvolse oltre 10 mila persone, una specie di caccia al tesoro immersiva che era anche un esperimento psicologico collettivo.
Qui non siamo a San Francisco ma a Philadelphia e i 4 protagonisti (che scopriremo a poco a poco) si ritrovano, chi per un motivo e chi per un altro, a far parte di questo grande "gioco" (sempre che di gioco si tratti).
I 4 vengono abbinati e vanno a comporre una squadra a dir poco bizzarra: abbiamo Peter (Jason Segel) uomo depresso che non trova nulla che lo entusiasmi o gli piaccia davvero, Simon (l'esordiente Eve Lindley) ragazza transessuale sexy ma insicura, Janis (una grandissima Sally Field) anziana signora empatica e rassicurante e Fredwynn (l'eclettico Andrè 3000) multimilionario cervellotico e diffidente.
I 4 approcciano il "gioco" in maniera personale, chi lo trova un semplice svago, chi lo confonde con la realtà, chi ne ha bisogno per fuggire dalla propria vita, chi ne vede un grande complotto; i quattro non si conoscono ma sono accomunati da una vita vissuta con la paura del vuoto e dalla mancanza di stimoli. Ognuno per proprio conto, seguendo dei volantini appesi in giro per la città, intrecceranno le proprie vicende a quelle del misterioso, fantomatico Jejune Institute e soprattutto con quelli che dovrebbero essere i “dispacci dell’altrove“ e in vista della promessa di una “nonchalance divina“ finiranno all’interno di un intricato mistero su una donna scomparsa (o forse mai esistita?), che sfida i loro limiti ma soprattutto la loro stessa percezione del reale.
Questa è più o meno la trama e, dopo averlo visto, mi direte se sono stata abbastanza chiara perché, ribadisco, non è per niente facile.
Ciò che però davvero colpisce di questa serie è la regia che sfrutta innumerevoli tecniche (dall'uso dell'animazione a quella della rottura della quarta parete) e coinvolge lo spettatore che viene chiamato in causa all'inizio di ogni episodio e a cui viene chiesto di immedesimarsi in ognuno dei protagonisti e di provare quindi quell'empatia di cui loro e noi stessi abbiamo bisogno. Veniamo trascinati in un labirinto in cui il senso sfugge in continuazione, ma il percorso è talmente fantasioso, avvincente e visivamente suggestivo, che si è ben disposti ad attendere di capirci qualcosa...o anche niente.
Ti porta a riflettere sulle vite che viviamo, spesso chiusi in una sorta di isolamento o apatia con il bisogno di sentirci speciali portandoti però alla conclusione che siamo già speciali e proprio perché uguali agli altri.
Il mio consiglio è quello di non cercare di capirci subito qualcosa (non andrete oltre la prima puntata) ma di lasciarvi trascinare, stupire e commuovere da questi 4 personaggi che hanno un po' di ognuno di noi e di fidarsi di ciò che non si conosce perché alla fine, ne vale quasi sempre la pena.
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