Primo approccio con Julian Barnes, dopo averlo schivato colpevolmente per anni.
Ho finalmente iniziato con il suo "Il senso di una fine", vincitore del Booker Prize del 2011.
Aspettative altissime, quindi, e per non farmi mancare niente l'ho voluto affrontare in audiolibro. La verità è che non ho saputo resistere alla tentazione di ascoltare ancora una volta la voce sexy e cavernosa di Fabrizio Bentivoglio.
E' andato tutto bene. Il romanzo è molto intenso e coinvolgente, a tal punto che mi sento di sconsigliarne l'ascolto a favore di una più congeniale lettura del cartaceo, salvo il fatto che Bentivoglio vale sempre la pena di essere ascoltato.
Barnes ha una scrittura densa nella quale a volte ci si può anche impantanare, ma rimane il fatto che si tratta di letteratura "alta". Il taglio introspettivo necessita di molta attenzione e una matita per sottolineare interessantissimi passaggi.
Ho trovato molto originale e calzante anche l'impostazione della trama, suddivisa in due parti: nella prima la voce narrante è un giovane e presuntuoso liceale, Tony, che vive nel presente e ci racconta della sua adolescenza, insieme ai suoi tre grandi amici, tra cui Adrian che ad un certo punto gli soffierà anche la ragazza. I primi amori, le prime evocatissime esperienze sessuali, i loro dialoghi filosofici e le loro speranze;
nella seconda parte invece troviamo Tony dopo quarant'anni, che tira le somme della sua vita, e rivive e rivede il suo passato, la vita che ha vissuto, che a quanto pare è andata avanti per inerzia, e nella quale si è costruito una rete di ricordi a cui ora si aggrappa. Ha inoltre ricevuto una lettera testamentaria nella quale scopre di aver ricevuto in eredità una somma di denaro e i diari dell'amico Adrian, morto suicida in giovane età.
"Procediamo a casaccio, prendiamo la vita come viene, ci costruiamo a poco a poco una riserva di ricordi. Ecco il problema dell’accumulo, e non nel senso inteso da Adrian, bensì nel semplice significato di vita che si aggiunge a vita. E, come ricorda il poeta, c’è differenza tra addizione e crescita. La mia esistenza si era sviluppata, o solo accumulata?"
Non ci si deve aspettare una storia molto interessante, alla fine gli eventi che accadono sono pochi e poco significativi, ma lasciarsi trasportare dal flusso delle parole, dalle riflessioni e dallo spessore dei temi trattati, fra cui su tutti quello del ricordo.
"Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più si va avanti negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi"
Il finale è condito con un po' di saggia ruffianeria che crea ad arte con quel po' di suspense che ti tiene sulle spine ma che in fondo lascia anche qualche dubbio e pare un tantino affrettato.
"Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori, come sostenni una volta; adesso lo so. È fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti."
3.5/5
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