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C.

non si giudica un libro dalla copertina


"Quando è chiuso, un libro è un rettangolo, sottile come una lettera o spesso e pesante come una scatola o un mattone. Quando è aperto è due archi di carta che, visti da sopra o da sotto, sembrano la V delle ali di un uccello in volo."


Avevo già avuto modo di conoscere Rebecca Solnit con la sua raccolta di saggi femministi "Gli uomini mi spiegano le cose" e quando lessi dell'uscita di un suo memoir (genere letterario di cui sono avida lettrice) "Ricordi della mia inesistenza", sono andata a botta sicura, come si dice.

Trovo che leggere la vita di certi scrittori non possa che farci bene, dei saggisti in particolari perché da sempre vedono e raccontano il mondo che li circonda in maniera profonda, mai superficiale e che, dalle loro esperienze, si possa imparare sempre molto.

Inutile dire che la vita della Solnit è a dir poco affascinante e il suo punto di vista, soprattutto su certi temi come il femminismo, illuminante.


Questa storia inizia quando, non ancora diciottenne, la scrittrice prende possesso di un piccolo appartamento in un vecchio quartiere di San Francisco dove capita di sentire, certe sere, il suono delle sirene antinebbia mescolarsi al respiro dell’oceano Pacifico.

Là inizia la sua ricerca di sé stessa, come persona, come scrittrice e come attivista politica; ricerca che è, in sostanza, una lotta per non scomparire. Perché, spiega Solnit con lucidità e passione, la condizione femminile è fatta di continue e ripetute scomparse, dell'inesistenza e dell’invisibilità. In questo libro rende omaggio non solo alla sua San Francisco ma esprime tutto l'amore e la gratitudine verso quelle persone che ha avuto la fortuna di incontrare lungo il suo percorso di vita: gli artisti per cui ha iniziato a scrivere, il movimento LGBTQ che le ha aperto gli occhi sulle discriminazioni della società e su ciò per cui è giusto lottare, agli ambientalisti e pacifisti con cui ha condiviso tante battaglie e agli amici che le sono sempre stati vicini ma soprattutto esprime il suo immenso e smisurato amore per i libri che le hanno salvato la vita e per la scrittura, che le ha dato uno scopo. In queste pagine traboccanti poesia seguiamo la giovane Rebecca incontrare persone, paesaggi e storie e condividiamo la sua lotta contro l’inesistenza: la sua e quella delle donne, degli ultimi, degli indifesi.


"Molte, forse la maggior parte delle giovani donne, devono combattere per trovare una poetica che celebri la loro sopravvivenza e non la loro sconfitta, per trovare forse anche una voce per farlo, o almeno un modo per sopravvivere in mezzo a un sistema di valori che prova piacere nella loro scomparsa o nel loro fallimento. In quegli anni di gioventù io l’ho fatto; non particolarmente bene né con lucidità, ma sicuramente con le unghie e con i denti."


Una grande donna che, non solo pensa bene, ma scrive anche meglio, una saggista che non smetterà di scrivere del mondo così come lo vede, con gli occhi di chi è nato invisibile, ha compreso di esserlo e ha lottato per farsi vedere e sentire.

E non smetterà di dare voce a chi non ne ha.


"Grazie femminismo. Grazie punti d'incontro.

Evviva la liberazione di tutti gli esseri."


4/5

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