“Sapevo cosa erano i manicomi.
Sapevo che un italiano, nel 1938, aveva inventato l’elettroshock dando inizio a una lunga serie di orrori e che un altro italiano, quarant’anni dopo, aveva fatto chiudere i manicomi. Due eccessi, due follie anch’esse: speculari.
Solo gli psichiatri arrivano a tanto.
Sapevo che quando li avevano chiusi si era aperta una terra di mezzo.
Alcuni tornavano a casa, altri no.
Dove andavano?”
Cos’è la follia?
Chi è il folle?
È forse per dare risposta a queste domande che Antonio, il protagonista di questo romanzo racconta di essersi fatto internare per una settimana nella Casa delle farfalle, istituto psichiatrico, allo scopo di scrivere un libro sulla follia.
Perché per raccontare la follia devi osservarla da vicino, conoscerla, abitarla.
Qui conoscerà i veri protagonisti di questa storia che cercherà di raccontare riportando gli incontri, le osservazioni e i dialoghi che giorno dopo giorno lo vedono coinvolto.
“Beati gli inquieti” di Stefano Redaelli, edito da Neo è un romanzo originale e intenso che cerca di approfondire, da un punto di vista inusuale, il mondo spesso solo immaginato della follia e degli istituti psichiatrici.
Un mondo che spaventa o semplicemente, non interessa, a chi è tanto cieco da non vedere in Cecilia, Marta, Simone, Carlo o Angelo, qualcosa di ognuno di noi.
Fobie, paure, personalità e dipendenze non tanto diverse dalle nostre.
E qual è la normalità? Chi di noi si può definire normale?... e chi genio?
“Ci sono tre classi di geni.
Lo dice Stanisław Lem, scrittore e medico polacco.
Quelli della terza classe sono i meno geniali, non si spingono oltre l’orizzonte del loro tempo, non corrono rischi. Spesso godono di stima, fama, denaro.
I geni della seconda classe non hanno mai successo, i coevi non li apprezzano, piuttosto nutrono verso di loro astio. Nell’antichità venivano lapidati, bruciati, rinchiusi. Bene che vada, li scopre la generazione successiva o quella dopo ancora.
I geni della prima classe non li scopre nessuno, né in vita né dopo. Vivono sepolti, serbando verità inaudite, impossibili da professare: vere e proprie rivoluzioni disattese. Sono così grandi che rimangono invisibili per secoli.
Voi a quale classe di geni appartenete?”
Il libro, scritto sotto forma di diario a più voci, ha una prosa che sfiora la forma poetica, che lo rende una lettura non immediata ma tutt’altro che banale.
Quasi come fossero delle istantanee, delle foto rubate, entra nei luoghi dove gli inquieti si muovono, si esprimono, ignari quasi di un mondo al di fuori di quelle mura.
Un mondo che poi, forse, così bello non è e nemmeno così distante da quello racchiuso tra le mura della Casa delle farfalle.
Un libro che dà il via a riflessioni sul senso, o meglio, il non senso, della vita e della realtà umana.
3/5
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