"Succede che il mondo si sgretola e non sai se ti sgretolerai con lui o cambierai tutto per rimanere intero. Il modo di parlare, il modo di vestire, la musica che ascolti, i pensieri, le azioni, le certezze, le paure. Tutto o niente. Perché sei finito insieme al tuo mondo e l'unico che può sopravvivere è un altro con la tua stessa faccia."
Com’era la vita quando avevate 8 anni? Io me lo ricordo a malapena mentre il vecchio protagonista di “La carne” se lo ricorda bene, di quando lui aveva 8 anni, e lo ricorda al lettore ad ogni pagina perché è poco dopo quel momento che il mondo si è, in qualche modo, arrestato.
Ora di anni ne ha ottanta, la visita giornaliera di Monica che lo va a lavare e vestire, un nipote che non è un nipote e la certezza che il mondo fuori dalla sua finestra non è quello di quando aveva 8 anni.
Da 70 anni infatti la gente, senza un motivo conosciuto, ha iniziato ad “ammalarsi” trasformandosi in una sorta di zombie (no, non quelli barcollanti dei film di Romero), persone “non morte” che passano il tempo in coda al deposito comunale per ricevere la loro dose di carne. Perché dal momento che ti trasformi non esiste più nulla se non una fame costante… di carne.
Dall’inizio dell’epidemia, se così la vogliamo chiamare, il mondo non si è più rinnovato, la Tv continua a mandare gli stessi spettacoli e gli unici cinema rimasti aperti sono quelli porno, nei quali si può fumare, motivo per cui il protagonista ci passa tutti i pomeriggi.
E poi c’è Tancredi, protagonista di una seconda storia che scorre parallela alla prima e con la quale si alterna, capitolo dopo capitolo, in maniera fluida ed equilibrata fino a fondersi in un finale davvero notevole.
“La carne” di Cristò è un libro difficile da catalogare, si potrebbe definire “horror” e mai avrei pensato di leggere, oggi, un libro di zombie ma, forse grazie alla mia formazione adolescenziale a suon di King e Lovecraft, non solo l’ho letto ma l’ho davvero amato e ringrazio la NEO (è loro la ripubblicazione del titolo, in uscita il 19 novembre) che me lo ha proposto con una mail che ne esaltava le doti e che potrei prendere e incollare in questo post perché ne condivido ogni parola anche se cercherò di usare le mie, di parole. Del resto, cos’ho un blog a fare?
Come dicevo, questo romanzo fatica a incastrarsi in un genere, avessi una libreria non saprei su quale scaffale posizionarlo e questa è una delle cose che trovo più interessanti.
L’horror c’è, e un paio di scene lo sono davvero, fidatevi, ma quello che ti rimane addosso dopo la lettura non è la parte più inquietante o estrema ma quel senso di realtà che invece racchiude. Racconta un mondo distopico dominato dalla rassegnazione, dall’apatia, dall’accettazione di un’estinzione quasi inevitabile. Una situazione irreale ma che è inevitabile immaginare o paragonare alla nostra realtà, leggerla come una metafora della società attuale. Una società composta da vivi che hanno smesso di vivere davvero e di morti destinati a non morire.
"Adesso tutti sanno che non ci sono spiegazioni quasi per nulla.
Le cose vanno accettate per quello che sono.
Però non si tratta di fede.
E' disinteresse piuttosto."
La storia, originale e intensa è narrata con una prosa decisa e tagliente e il risultato è un libro enigmatico e potente che non lascia certo indifferenti.
3,5/5
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