Quest'anno, come per molti di voi, non mi è stato possibile visitare il Festival della Letteratura di Mantova ma, a causa del (anche se in questo caso direi "grazie al") Covid mi è stato possibile assistere a quasi tutti gli eventi in forma streaming, comoda comoda sul mio divano. Una delle ospiti a distanza di quest'anno era Guadalupe Nettel, scrittrice messicana a me sconosciuta che ho avuto il piacere di sentire intervistata, appunto, durante quell'occasione in cui ha presentato il suo ultimo romanzo "La figlia unica".
Poi come sempre non ho resistito allo shopping compulsivo di libri ed eccomi qua a scriverne.
"«Si chiamerà Inés» mi ha annunciato.
E io ho subito approvato quel nome da poetessa femminista."
La storia, narrata in prima persona da Laura segue le vicende sue e dell'amica Alina.
Le due donne, amiche da molti anni, da quando vivevano a Parigi, crescono promettendosi di non avere figli, un po' per soverchiare uno stereotipo femminile che non sentono di rispecchiare, un po' per mancanza del desiderio di maternità. Ritornate a vivere in Messico, Laura si concentra sulla scrittura della sua tesi mentre Alina conosce Aurelio, del quale rimane incinta. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando un’ecografia rivela che la bambina ha una rara malformazione e probabilmente non sopravvivrà al parto.
Inizia così per tutti i protagonisti un doloroso e inatteso processo di accettazione che porterà le due amiche a scoprire due maternità diverse.
L'accettazione è appunto il tema principale di questo romanzo: accettazione della realtà , del lutto, del cambiamento, delle proprie decisioni e responsabilità, di una vita che non è quella che si pensava di volere.
Ma soprattutto l'accettazione di sé stessi, nel bene e nel male.
"...è sempre più facile incolpare gli altri per ciò che non tolleriamo di noi stessi; per ciò che non ci perdoniamo."
Un libro che, usando come metafora il fenomeno zoologico chiamato parassitismo di cova, mostra molti modi in cui si può essere madre, del proprio figlio o di quello di altri e pone diverse domande:
Esiste un modo giusto di essere madre? La maternità è istinto o razionalità? Si può essere madri anche senza avere figli?
Essere madre ti definisce per sempre?
Sono molti gli spunti di riflessione che emergono da questo romanzo, scritto con una semplicità solo apparente. Un libro sulle donne, che siano madri o no, che rischia spesso di cadere nella retorica ma dalla quale si salva sempre. Che sviscera un argomento del quale è difficile parlare senza appunto cadere nel buonismo o nei cliché ma che invece tocca in maniera originale e coraggiosa.
Un libro dal finale aperto e che, per questo motivo, mi ha lasciato con un po' di amaro in bocca e un senso di incompiutezza ma che, pensandoci bene, va bene anche così.
"Ma a volte il mare non spazza via tutto, quando retrocede rimangono i resti di una qualche muraglia e a volte è persino possibile restaurare ciò che c’era prima."
3,5/5
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