Qual'è l'incubo che ogni madre ha immaginato almeno una volta?
Anche chi non è genitore può immaginarlo, e non è necessario che lo scriva.
"Ninna Nanna" di Leila Slimani mette in scena proprio quell'incubo, basandosi su una storia vera avvenuta a New York ma che lei ambienta nella sua Parigi; la storia di una tata che uccide i due bambini che accudisce.
Alla nascita di Adam, il loro secondo figlio, Myriam e Paul Massè decidono di cercare una tata che si occupi di lui e di Mia, la primogenita, così che Myriam possa tornare a lavorare. Lei è avvocato, lui lavora come produttore musicale. Fanno così la conoscenza di Louise: luminosa, solare, dolce, e i bambini sembrano sceglierla prima dei genitori. La donna guadagna immediatamente l’affetto incondizionato dei piccoli e la gratitudine dei genitori, trasforma la casa in un incanto, li vizia anticipando ogni loro necessità. Finché questo rapporto di dipendenza, come tutte le dipendenze, non si incrina, mostrandosi eccessivo, non si rivela sbagliato e inquietante e sfocia nell'impensabile.
"Il bambino è morto. Sono bastati pochi secondi. Il medico ha assicurato che non aveva sofferto. La bambina invece era ancora viva quando sono arrivati i soccorsi. Ha lottato come una tigre. [...] Adam è morto. Mila non ce la farà."
Il libro, che ha uno degli incipit più emotivamente violenti che abbia mai letto,
affonda lo sguardo nelle nostre concezioni dell’amore, dell’educazione, dei rapporti di potere che si celano dietro il denaro, parlandoci di pregiudizi culturali e di classe.
Mostra come la solitudine e la mancanza di amore possano creare mostri e come l'apparenza, a volte, inganni. Di come il passato ti condizioni tutta la vita, della difficoltà di trovare redenzione per gli errori commessi che ti perseguitano, ti mutano, non ti abbandonano mai. Dell’essere madre, quella biologica, premurosa e attenta ma assente e quella che non riesce a esserlo nella vita e ne diventa un surrogato migliore ma a pagamento.
Un libro che non dà risposte, perché è impossibile darle, che cerca di svelare il lato umano di un mostro senza giustificarlo ma cercando di capire cosa possa portare una persona a un atto di tale violenza: la vergogna, la depressione, la solitudine, la totale incapacità di vivere una vita al di fuori di quella casa “perfetta”.
Non conoscevo la scrittura di questa scrittrice, che con questo romanzo si è aggiudicata il prestigioso Premio Goncourt nel 2016, chiara ed efficace, pulita e schietta e non vedo l'ora di leggere altro di lei.
Leila, benvenuta nella mia libreria.
4/5
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