Questo è stato uno di quei rari casi in cui ho approcciato un romanzo senza minimamente averne letto la trama.
A sensazione, scorrendo vari titoli su "Storytel" (piattaforma streaming per ascoltare audiolibri), ho deciso di iniziare "Città sommersa" di Marta Barone.
Mi ha colpito la copertina e il fatto che fosse stato candidato nella dozzina finale del Premio Strega 2020.
A conti fatti probabilmente non lo avrei letto, forse sbagliando, ma i miei gusti solitamente si spostano su altri argomenti. Non tanto perché si tratti di autofiction, che anzi mi piace molto, ma proprio per la storia in sé.
L'autrice , qui alla sua opera prima, a cinque anni dalla morte del padre, Leonardo Barone, con il quale ha sempre avuto un rapporto controverso, trova dei faldoni che la incuriosiscono, relativi alla sua vita prima che lei nascesse. Si mette quindi alla ricerca di vecchi documenti e si mette in contatto con persone che lo hanno conosciuto, cercando di ricostruire quella parte di vita del padre a lei sconosciuta. Ci troviamo a Torino negli anni 70-80, i cosiddetti “anni di piombo”, in cui scopre che fu processato per partecipazione a banda armata (poi scagionato) e soprattutto che fu leader del movimento studentesco negli anni universitari e militante poi di Servire il Popolo (formazione politica di sinistra).
Intraprende un cammino alla scoperta del padre: cerca indizi, passaggi, tracce, vuole capire come sono andate realmente le cose, cosa pensava, cosa sentiva, cercando anche una riabilitazione ai suoi occhi e a quelli del mondo.
"Mi sentivo, per quanto possa sembrare assurdo, come se dovessi avere conferma che mio padre era davvero esistito; che la sua giovinezza era stata; che da qualche parte in un tempo lontano lui aveva compiuto un gesto, anche banale, di cui fosse rimasta una traccia, e quel gesto potesse arrivare fino a toccarmi."
Come dicevo, probabilmente non lo avrei scelto, non essendo una grande appassionata di storia, e invece è stato molto interessante e ben scritto.
La Barone è molto talentuosa e usa un linguaggio ricco e chiaro riuscendo a rendere tutto molto comprensibile. Anche ai meno appassionati, come me.
Quello che mi è mancato è stata senz'altro l'empatia, la partecipazione, e raramente mi sono sentita coinvolta, causa certamente un certo piglio giornalistico che inevitabilmente toglie emozione.
“In un certo senso tutta la nostra esistenza è una traduzione tra quello che cerchiamo di dire e quello che poi riusciamo a dire davvero.”
3.5/5
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