"Né il terrore né l’amore rendono ciechi: l’indifferenza rende ciechi."
Preferirei scrivere questa recensione in un altro momento storico (non che certe cose siano mai, fondamentalmente, state diverse) perché in questi giorni, in cui la morte di George Floyd ha riportato all'attenzione di tutto il mondo il problema del razzismo in America e della sopraffazione della polizia sull'uomo nero, è davvero difficile fare una recensione senza, per forza, parlare di quello che sta succedendo.
Perché "Se la strada potesse parlare", tredicesima opera di James Baldwin, datata 1974, è maledettamente e tristemente attuale.
La rabbia che mi ha colpito in questi giorni è tanta e la lettura di questo libro non ha fatto che accentuarla, rabbia e disillusione verso un mondo che non vuole cambiare, verso una realtà difficile da digerire ma che dobbiamo in ogni modo cercare di cambiare. Ogni paese del mondo si sta rivoltando per la morte ingiusta di Floyd e, davanti alle immagini di quanto sta accadendo, ci troviamo a dover spiegare ai nostri figli il perché di tutto questo.
Ancora.
"Non c’è modo per dire a un bambino quanto oscene possono essere delle creature umane”.
Il romanzo di Baldwin, racconta un'ingiustizia simile: è la storia di Fonny, un ragazzo di colore incarcerato ingiustamente con l'accusa di stupro ai danni di una ragazza portoricana. La ragazza non ha visto il suo aggressore, ha solo detto "era nero" e, durante un confronto all'americana, un solo ragazzo di colore le è stato mostrato, Fonny, per cui le accuse sono per forza di cose cadute su di lui.
La domanda è "perché, se la donna dice di essere stata violentata da un uomo di colore, nel confronto non erano tutti di colore ma solo uno?". Per chiudere la faccenda in fretta, perché uno vale l'altro o per la sete di vendetta di un poliziotto che aveva giurato al ragazzo una brutta fine.
"Non era il povero negro di nessuno. E questo è un crimine in questo fottuto libero paese. Devi essere un povero negro: ed è stato quello che i poliziotti hanno deciso quando Fonny si è trasferito in centro."
Fonny era felice, aveva appena chiesto alla sua ragazza, Tish, di sposarlo, avevano trovato una soffitta dove andare a vivere insieme, aveva una vita. Una vita che da un momento all'altro viene stravolta e, anche se la famiglia di Tish fa di tutto per cercare di farlo uscire di prigione, le speranze di riuscire a farsi ascoltare, sono poche.
Il libro affronta quindi l'immortale tema del pregiudizio radicato nella società americana, del razzismo e del bigottismo.
Un libro che, al contempo, cerca di infondere speranza e di insegnare alle vittime a non mollare, che insieme si possono cambiare le cose. Mostra che ogni paese ha i suoi oppressi e un afroamericano in America, rispetto a un abitante delle favelas portoricane è quasi "un privilegiato", e che Bell, il poliziotto, è sì malvagio, ma è il sistema di oppressione e la cecità della legge che gli permettono di esserlo.
"Se la strada potesse parlare" è una storia commovente e dolorosa, così intensamente umana e reale che nel momento stesso in cui vede la luce, è destinata a diventare un’opera senza tempo.
"Dicono che quei ragazzi sono tonti e così gli insegnano a lavorare con le mani. Quei ragazzi non sono tonti. Ma la gente che gestisce queste scuole vuole assicurarsi che non diventino intelligenti: in realtà insegnano ai ragazzi a essere schiavi."
4/5
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