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  • C.

non si giudica un libro dalla copertina


Salone del Libro di Torino, ferma sullo stand del Saggiatore sto sfogliando alcuni volumi pensando a qualcosa da acquistare quando una voce vicino a me mi sussurra: “Prendi quello, è bellissimo”, alzo gli occhi e incrocio lo sguardo di un signore anziano (e aggiungerei coraggioso in quanto stava comprando quel tomo di Solenoide) che mi ripete “prendi quello, è bellissimo”, indicandomi “Natura morta con custodia di sax” e continua dicendo:“Ti piace il jazz? Perché se ti piace lo amerai molto e se non ti piace, dopo averlo letto, ti piacerà pure il jazz, fidati.”

Istintivamente, ma anche perché amo molto il jazz, mollo quello che avevo in mano, ne prendo una copia e rispondo “Mi fido” e lui “ …e fai bene!”


Quindi, grazie a quel signore di cui ignoro il nome ed evviva i consigli degli sconosciuti, perché penso che mai lo avrei preso, mai lo avrei letto se non fosse stato per la sana invadenza di un lettore generoso.


Mentre mi accingo a scrivere qualche parola su questo libro, sto ascoltando in cuffia Chet Baker, uno dei tanti protagonisti delle storie che compongono questo strano ed entusiasmante libro, storie più o meno vere, storie che vogliono raccontare i protagonisti di un epoca, di un genere musicale, di uno stile di vita attraverso il racconto intimo delle loro fragilità, debolezze, dipendenze.

Mentre la sua voce e il suono della sua tromba mi riempiono le orecchie, non posso non ascoltarlo con una nuova consapevolezza, immaginando ciò che gli passava per la mente o il dolore che gli scuoteva le vene e questo grazie a questo strano oggetto letterario, che non è solo un libro sul jazz e sull’influenza che questa musica ha avuto sulla società e la cultura occidentali, ma è un libro sulle vite di alcuni dei musicisti più importanti della storia – Lester Young, Charles Mingus, Thelonious Monk, Chet...

Vite vissute al limite, tra galera, manicomi o appartamenti fatiscenti, vite troppo brevi e intense, vite a cui il mondo, non solo della musica, deve dire grazie.


"E applaudendo, tutti fra il pubblico, tutti, compresero che deve esserci qualcosa di terribile in una forma musicale che può fare tale scempio di un uomo.

Come quando si guarda un ginnasta e si da per scontato che sia agile e forte, finché la frazione di un errore non lo fa schiantare al suolo. Solo allora capisci fino a che punto era parso normale ciò che è al limite estremo del possibile.

Ed è la caduta, piuttosto che il salto mortale impeccabile, a esprimere la verità, l'essenza dello sforzo: quello è il ricordo che ci accompagna per sempre."

Dyer è riuscito a sfornare un capolavoro indefinibile, un libro per gli amanti del jazz ma soprattutto della buona letteratura che consiglio a tutti, tutti quelli che vogliono comprendere gli animi di geni tormentati, fare un tuffo in un America ormai lontana o emozionarsi leggendo di dita che sfiorano tasti, imbracciano sax e suonano jazz.


4,5/5

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