non si giudica un libro dalla copertina
- C.
- 17 feb 2020
- Tempo di lettura: 2 min

“Steph lasciava un vuoto fisico. Lo sentiva nel petto e nella pancia.
La vita sarebbe continuata. Era questo l’aspetto più duro.
La vita sarebbe continuata.”
Dover scrivere una brutta recensione mi mette sempre a disagio e per diversi motivi: la sensazione di non aver capito il libro e la difficoltà nello spiegare il perché non mi è piaciuto... è molto più facile il contrario, credetemi.
E diventa particolarmente sgradevole quando il libro avresti voluto amarlo, hai seguito recensioni e consigli, lo scrittore è promettente, il titolo una figata e la storia pure.
Il libro in questione è “E i figli dopo di loro” di Nicolas Mathieu, premio Goncourt 2018.
Ci troviamo a Heillange in Lorena, agli inizi degli anni 90. È estate e le vite di tre ragazzi si intrecciano, noi seguiamo l’evolversi emotivo di ognuno alle prese con quel turbinio di emozioni e situazioni tipiche dell’adolescenza.
Anthony ha quattordici anni, le spalle larghe e una palpebra semichiusa che gli dà sempre un’aria imbronciata e due genitori in crisi coniugale, dovuta quasi totalmente alla disoccupazione e all’alcolismo del padre e al risentimento della madre.
Stéphanie è la più bella della scuola, è causa delle passioni degli altri e vittima delle proprie. Sconta il peso della bellezza che in quella valle dimenticata da Dio non serve a molto, è una reginetta di niente.
Hacine è un po’ più grande, figlio di immigrati che speravano in una vita migliore e un'integrazione mai raggiunta completamente, ormai rassegnato all’idea di deluderli.
L’estate in cui i tre ragazzi si incontrano è quella delle prime esperienze sessuali, delle prime canne, dei Nirvana nelle orecchie e delle corse in Bmx intorno al lago, della noia che si mescola alla rabbia e al desiderio di fuggire. Il panorama è desolante e malinconico e quella che viene mostrata è la realtà di una generazione in crisi, dal futuro incerto e dal presente squallido.
Fabbriche dismesse, licenziamenti, delinquenza, criminalità di basso profilo, un paesaggio in cui pure le droghe sono difficili da trovare, non ci sono distrazioni e il rischio di fare la cosa sbagliata e di perdersi è sempre dietro l’angolo.
Gli spunti per un buon libro ci sono davvero tutti ma il risultato è un tomo infinitamente lungo e prolisso, le emozioni sono trattenute e mai esplose, un libro sull’adolescenza esplorata con troppo cervello e poco cuore.
Si fatica davvero a tenere il filo delle varie storie, le situazioni sono snervanti e il risultato è che il disagio e la noia dei protagonisti diventano il tuoi. Se questo era l‘obbiettivo dello scrittore, è riuscito nell’intento, al contrario, se non lo era, è stata davvero un’occasione sprecata.
Il libro è stato osannato da molti, effettivamente più giovani di me, e forse il problema sta proprio nell'età, chi può dirlo.
Un libro generazionale di cui probabilmente non ho compreso a pieno l’intento e di cui ho poco apprezzato la scrittura.
2,5/5
La psicologia dietro la valutazione letteraria: quando le prime impressioni incontrano intuizioni più profonde
Una prospettiva interessante su come valutiamo la letteratura! Da amante dei libri, ho spesso riflettuto su quanto la prima impressione influenzi la nostra esperienza di lettura di un romanzo. La ricerca dimostra che ci formiamo un'opinione su un libro entro i primi 30 secondi in cui lo teniamo tra le mani.
Questo forse spiega perché spesso abbiamo reazioni così forti ai libri per i quali nutriamo grandi aspettative.
Il divario generazionale nella comprensione letteraria
La tua osservazione…