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  • S.

non si giudica un libro dalla copertina


Le premesse per un libro molto interessante c'erano tutte.

L'autrice islandese mi era già piaciuta moltissimo nel suo precedente "Hotel Silence" (di cui abbiamo scritto QUI), e questo era già un ottimo punto di partenza.

Ma soprattutto la trama mi sembrava attuale e lasciava presagire, nella mia testa, un interessante svolgimento.

Siamo sempre in Islanda, negli anni sessanta.

La giovane Helka desidera fortemente diventare una scrittrice in una società maschilista in cui la donna è ancora relegata a figura di madre e moglie. L'unica possibilità per lei di uscire da questo destino che appare segnato è partecipare al titolo di Miss Islanda, essendo una ragazza molto bella. Viene infatti avvicinata da un impresario che cerca di convincerla a partecipare al concorso.

Decide invece di uscire dalla provincia in cui vive e spostarsi a Reykjavik, per cercare di realizzare i suoi sogni poiché il suo solo grande e unico desiderio è quello di scrivere.

Attorno a lei si muovono personaggi piuttosto stereotipati che hanno tutti l'ambizione di volersi liberare da una condizione omologata: l'amica del cuore, già moglie e madre di due bambini, che la esorta a fare di tutto per non diventare anche lei schiava delle convenzioni; il migliore amico, nonché primo amore, gay, che viene emarginato, bullizzato e considerato un "invertito"; un padre che nonostante l'abbia sempre appoggiata nelle sue scelte, fa capire da subito al lettore, come andavano le cose: alla nascita della figlia, decide di chiamarla Hekla, come il nome di un vulcano, senza consultare minimamente la moglie, qui nel classico ruolo di fattrice.

"Benvenuta Hekla mia"

Aveva deciso il nome senza consultarmi.

"Non il vulcano, non la porta dell'infermo" dico io dal letto.

La decisione ormai l'aveva presa.

Come in "Hotel Silence", i personaggi dell'autrice intraprendono un viaggio alla ricerca di risposte, alla ricerca di se stessi ma in questo caso il percorso non è stato altrettanto interessante e coinvolgente.

Niente di nuovo nelle tematiche trattate se non qualche spunto di riflessione e soprattutto mi è mancata la passione, l'emozione, in un racconto che rimane freddo come le terre in cui è ambientato.

A tratti insopportabilmente lento e soporifero, come le lunghe infinite giornate islandesi.

Non si discute il talento della scrittrice islandese che con la sua penna lieve, tocca comunque corde sensibili, ma a mio avviso in questo romanzo fa un piccolo passo indietro.

"Certe volte mi viene da smettere di fare quel che sto facendo e mi viene da scriverne, invece, perché diventi reale."

3/5


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