Vengo spesso tacciata di essere una criticona, più precisamente vengo definita "tranchant" ma vi assicuro che non mi piace dare giudizi completamente negativi (in generale su tutto e vale anche per i libri) sforzandomi di trovare il bello ovunque e spesso riuscendoci.
Ci proverò quindi anche stavolta per "Il fabbricante di eco" di Richard Powers ma non garantisco nulla, vediamo se ce la faccio.
Partiamo dicendo che Powers è fresco fresco di Premio Pulitzer per il suo ultimo "Il sussurro del mondo" e "Il fabbricante di eco" gli è valso il National Book Award nel 2006. Mi dico quindi che è assolutamente da leggere ed essendo un tomo di oltre 500 pagine (anticipo che non ho nulla contro i libri lunghi o anche lunghissimi) decido di leggerlo durante le vacanze estive e così gli trovo posto in valigia rinunciando probabilmente a qualcosa che mi sarebbe stato più utile. Sì, perché questo libro, ingiustificatamente lungo, prolisso e vuoto è a mio parere, proprio inutile.
La storia è quella di due fratelli, Karin e Mark. Mark è appena stato vittima di un grave incidente d'auto a causa del quale si risveglia con la memoria alterata, più precisamente con la sindrome di Capgras, un disturbo cerebrale che provoca una sorta di disconnessione tra la parte razionale ed emotiva del cervello. Il giovane riconosce le persone intorno a lui, ma spesso i sentimenti di cui le investe sono diversi, a volte anche in modo radicale. Riconosce fisicamente la sorella ma si convince essere una spia, così come altre persone a lui vicine. Scatena una forma ossessiva di paranoia che lo porta a cercare di capire la dinamica dell'incidente. In questa storia Karin gli sta vicino coinvolgendo un professore/scrittore specializzato sulla sindrome per aiutarla con il fratello.
La trama in sé è anche figa, scusate il francesismo, peccato che ne venga fuori un polpettone senza identità; vuole essere un thriller ma forse del genere noioso o un drammatico del tipo che non emoziona? In definitiva è solo un grande errore.
Lo scrittore non fa che aprire porte e inserire personaggi soffermandosi spesso su ciò che è inutile e spesso stereotipato
(la storia d'amore della sorella, gli amici bifolchi, il cliché dell'ambientalista zen e dell'imprenditore apparentemente cinico) e terminando, dopo una fatica incredibile, a un finale che dovrebbe farti fare wow! ma a cui sei già arrivato da solo, sperando pure di sbagliarti.
Dovevo abbandonarlo prima della fine, lo so, ma cosa vi devo dire...è vero che con gli anni ho imparato a non perdere tempo, che non tutto merita di essere finito ma a volte si spera fino alla fine, e questa è stata una di quelle.
Speranza mal ripagata.
Era meglio passare ad altro ed evitarsi questo polpettone barboso e a mio parere vuoto.
Ecco, lo sapevo, non ce l'ho fatta, resto la solita tranchant.
1,5/5