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non si giudica un libro dalla copertina

Thebloodyisland

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Falsa Partenza”, della giovane scrittrice francese Marion Messina è arrivata alle nostre orecchie come una delle opere prime più interessanti dell’anno e lei è stata paragonata addirittura a Houllebecq con il quale ha in comune, ci sentiamo di dire però, solo la nazionalità.

La ragazza è davvero troppo giovane e prima di poterla avvicinare a questi nomi deve passare un po' di acqua sotto i ponti. Un certo cinismo e disincanto possono far rimandare al più famoso scrittore francese ma il paragone pare un po' troppo impegnativo. Rimane pur sempre il suo primo romanzo, attendiamo qualche altro anno.

Le premesse sono comunque ottime e il libro è certamente un bel libro.

Letto praticamente in contemporanea con l’ultimo romanzo di Sally Rooney, che ci è piaciuto abbastanza poco, la Messina vince a mani basse sulla collega irlandese con cui condivide il titolo di “voce dei millennials”.

Non che fosse una gara ma il paragone , in questo caso, viene proprio naturale.

Il romanzo sembra una storia d’amore ma è molto, molto di più.

Aurélie ha vent’anni, viene dalla provincia, da una famiglia operaia che ha condotto una vita di sacrifici per consentire ai figli di studiare e di fare uno scatto sociale. Alejandro ha la sua stessa età, è colombiano, nel suo paese era agiato e credeva che in Europa avrebbe avuto un grande avvenire. Arriva in Francia per studiare; qui, però, resta un immigrato: qualsiasi cosa faccia, qualsiasi cosa dica, sembra che le sue origini non possano mai essere messe da parte. Con il loro carico di frustrazione, solitudine e il bisogno di guadagnarsi da vivere con lavori precari, i due si incontrano e si innamorano: è una passione che travolge Aurélie e sorprende Alejandro, allentando almeno per un po’ la morsa della delusione nei confronti del futuro e quel senso di estraneità dal resto del mondo che li percorre in modo così diverso.

Entrambi, per motivi diversi, sfuggono dalla loro realtà… lei cerca emancipazione da una vita piatta e noiosa, lui da un paese che non sente più suo ma che gli altri continueranno sempre a vedere. Entrambi vogliono libertà e cultura ma faranno i conti con una realtà segregante e difficile come quella di Parigi, tanto grande da farti sentire piccolo, capace di darti tanto ma toglierti altrettanto.

"Parigi era ripugnante e dava dipendenza."

Il libro è uno spaccato di realtà, cinico e disilluso.

Parla del disagio, della precarietà, del disincanto della generazione dei millennials, del loro approcciarsi all’ amore, al mondo del lavoro, alla realtà stessa di un mondo che dovrebbero avere tra le mani ma che li sfrutta e li rifiuta.

Parla anche di immigrazione, identità e pregiudizio, temi mai come ora attuali, purtroppo.

Una scrittrice giovane ma con una visione matura e molto a fuoco del suo paese, della sua generazione che sa descrivere davvero molto bene.

A dispetto del titolo quindi, una partenza lanciata verso un promettente futuro.

"C’era qualcosa di mortifero in tutte quelle pinte di birra esibite nelle foto delle serate,

nelle resse dei frequentatori di festival che gridavano per strada, nella ricerca di approvazione di centinaia di amici virtuali, nei frequentatori di feste di trentacinquenni che dragavano le studentesse dell’ultimo anno nei bar,

nei corsi universitari senza fine e nell’adolescenza fino alla morte."

4/5


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