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C.

non si giudica un libro dalla copertina


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Come si può fare la recensione di “La prossima volta, il fuoco”, saggio che James Baldwin scrisse nel '63 nel quale analizza il concetto di supremazia bianca e la condizione dei neri d’America?

Non penso di riuscire e credo che approfitterò di questo spazio che mi sono creta, questo blog, per diffondere le sue di parole, che le mie valgono niente. Posso solo dire che certi individui hanno una visione del mondo che sfugge ai più, una capacità di analisi e visione d’insieme che la massa mai avrà. E il problema è proprio questo, la massa è in sostanza ignorante, lo è sempre stata e sempre lo sarà. Quando poi è anche crudele, ottusa e avida, ci ritroviamo il mondo che abbiamo.

Il testo ha più di 50 anni e si parla della realtà degli Usa ma è inquietantemente attuale e universale.

E di conseguenza, obbligatorio.

"...sta di fatto che ogni negro americano porta il nome dei bianchi ai quali originariamente apparteneva. Io mi chiamo Baldwin perché fui venduto o rapito alla mia tribù africana da un cristiano che si chiamava Baldwin e che mi costrinse a inginocchiarmi ai piedi della croce. Pertanto, in maniera evidente quanto legale, io sono il discendente di schiavi in un paese bianco e protestante.

Questo significa essere un nero americano: un pagano rapito che è stato venduto come un animale e trattato come tale, che è stato a suo tempo definito dalla Costituzione americana un "tre quinti" di uomo e che non aveva diritti che l'uomo bianco fosse tenuto a rispettare. [...] Di conseguenza non v'è delusione più grande di quella dell'americano convinto che i neri debbano credere che i bianchi un giorno "diano" loro qualcosa. La verità è che gli uomini difficilmente danno: per la maggior parte si preoccupano solo di difendere e conservare ciò che posseggono, convinti di difendere in tal modo, attraverso ciò che posseggono, se stessi. Ciò che essi difendono e conservano non è altro che la realtà così come essi la vedono e ciò che essi credono di essere. Non si può dare nulla senza dare se stessi: vale a dire senza rischiare. Se uno non è capace di rischiare, allora non è nemmeno capace di dare. Si può dare la libertà solo rendendo liberi gli altri. [...] La vita è tragica per gli stessi motivi per cui la terra gira, per cui il sole sorge e tramonta… ma verrà giorno in cui, per ognuno di noi, il sole tramonterà una volta per sempre, senza più risorgere.

Forse l'umana angustia, affonda le sue radici nel desiderio di sacrificare tutta la bellezza della vita, di incatenarci a totem, tabù, croci, sacrifici di sangue, campanili, moschee, sette, eserciti, bandiere, nazioni, al fine di negare la realtà della morte, che è l'unica realtà che abbiamo di fronte."

"Ciò che vorremmo veder scomparire è la divisione dei popoli sulla base del colore della loro pelle. Ma fin quando noi in Occidente attribuiamo a questo colore il valore che oggi gli diamo sarà impossibile che le masse si dividano in base a un qualsiasi altro principio.

Il colore della pelle non è una realtà umana o personale, bensì politica. [...] Non abbiamo altra scelta che fare tutto quanto è in nostro potere per mutare questo destino senza badare ai rischi: confisca dei beni, arresti, torture, morte. Per amore dei nostri figli, per ridurre al minimo il conto che loro dovranno pagare, dobbiamo cercare di non rifugiarci mai in nessuna illusione -  e il valore attribuito al colore della pelle è e sarà sempre un'illusione."

"L'impossibile è il minimo che si possa esigere e, dopotutto, a ciò siamo incoraggiati dalla lezione della storia umana in generale, che di niente altro è prova che di una continua conquista dell'impossibile."

È stato difficile selezionare solo alcune parti di questo saggio che consiglio vivamente a tutti di leggere, far leggere, regalare e visto l'andazzo di questo brutto mondo, seppellire in una scatola sotto terra, così che i postumi lo possano trovare.

5/5


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