Da giorni mi arrovello per cercare di scrivere una recensione accettabile di "Mio padre, il pornografo" di Chris Offutt.
La verità è che questo libro mi ha lasciato così poco che non ho tante parole da mettere nero su bianco.
Offutt, che sicuramente rileggerò nella forma romanzo, mi ha raccontato una storia, la sua storia, ma quello che mi è rimasto, inspiegabilmente, considerando le ottime critiche ricevute, è molto poco.
Si tratta di un memoir nel quale ci racconta il rapporto con il padre, che dopo la sua morte gli lascia in eredità una scrivania, un fucile e otto quintali di narrativa pornografica (manoscritti, bozze e fumetti).
E' un padre dispotico, assente, cresciuto e vissuto nella più ottusa provincia americana del Kentucky e con una vera e propria ossessione per la pornografia. Ad un certo punto della sua vita decide di abbandonare il suo lavoro di assicuratore e comincia a scrivere romanzi di fantascienza, ma soprattutto pornografici e, oltre a quelli pubblicati, Chris scoprirà che ne scrisse a decine, rimasti nel cassetto.
Dopo la sua morte il figlio comincia a studiare e a voler comprendere questo lato oscuro del padre. Inizia a catalogare e ricomporre tutti i tasselli della stravagante passione paterna.
«Papà batteva a macchina velocemente e con entusiasmo. Alla fine avrebbe scritto e pubblicato più di quattrocento libri, usando diciotto pseudonimi diversi. C’erano sei romanzi di fantascienza, ventiquattro fantasy e un thriller. Il resto erano romanzi pornografici»
Allo stesso tempo, ricostruendo la figura del padre, ci racconta di lui, della sua gioventù, delle ore passate sui libri e di come è diventato scrittore, cercando in qualche modo di compiacere il padre.
"Malgrado le difficoltà di una vita con mio padre, io vivevo per la sua attenzione.
L’unico comportamento che servisse a ottenerla era scrivere, dunque cominciai a farlo a sette anni”.
Questa sua forma asciutta, senza drammi o pietismi, è la cosa che ho più apprezzato. Amo molto questo genere di scrittura e resto molto curiosa di leggere i suoi racconti, ma evidentemente non ho saputo cogliere le giuste intenzioni o, molto più semplicemente, non mi ha coinvolta, senza cercare tante spiegazioni.
Un libro che passa e va.
«Mio padre era un uomo brillante, un vero iconoclasta, fiero e fiducioso in se stesso, un genio oscuro, egoista, crudele ed eternamente ottimista. […] Non aveva hobby, nessuna attività con cui distrarsi[…] scrittore pulp alla vecchia maniera, una macchina inarrestabile. Nel suo studio, a casa, c’era un cartello scritto a mano che diceva Fabbrica della scrittura: attenzione ai participi vaganti»
2,5/5