"Sono convinto che il primo germe che ha avvelenato la mia vita si sia insinuato dentro di me durante quel giorno di prima elementare, quando provai la sensazione di essere sbagliato, lurido, davanti alla suora e a mio fratello e a quel pubblico di bambini che, ne ero certo, iniziavano anche loro a pensare che io fossi sbagliato e lurido."
Maggio è stato un mese, dal punto di vista delle letture, davvero positivo e non poteva concludersi meglio di così.
Ho finito proprio ora la mia sesta lettura del mese, un libro iniziato per curiosità, un libro che mi resterà addosso per un bel po’. Si tratta di “Zucchero e catrame” di Giacomo Cardaci, edito da Fandango, mi è arrivato all’orecchio leggendo un blog o forse ascoltando un podacst… chi si ricorda; fatto sta che questo titolo, bellissimo, e l’immagine di copertina, anche di più, non mi si toglievano dalla testa e per fortuna che il mio istinto funziona ancora bene.
Sto scrivendo la recensione con ancora gli occhi lucidi e una rabbia che vorrei urlare, con tante parole da dire ma senza sapere bene come metterle in fila. Inizio usando quelle dello scrittore che così descrive il suo romanzo:
«Questa storia non è per tutti. È per coloro che sanno vedere le sfumature, le contraddizioni nascoste in ognuno di noi. Parla di come le aspettative degli altri possano distruggere ciò che c’è di bello in noi e creare solo odio. Di come il desiderio di soldi, la mancanza di soldi, sia in grado di avvelenare una famiglia. Parla di una Milano ai bordi, miserabile, smarginata. Dei confini opachi tra disonestà, onestà, odio, rabbia. Di come ognuno di noi possa essere colpevole e innocente, vittima e carnefice, zucchero e catrame».
A queste c'è davvero poco da aggiungere.
Il libro mi conquista già al prologo che appare come autobiografico ma non lo è.
È il protagonista, Cesare, che lo scrive, dal carcere dove è rinchiuso per non si sa "ancora" quale crimine, incitato dal suo compagno di cella che lo sprona da tempo a "scrivere la sua storia".
E la storia ha inizio.
Cesare è un bambino "diverso" dagli altri, gioca con le Barbie, non piace a nessuno, ha una famiglia anaffettiva e l'unica persona con cui si sente di poter essere se' stesso è una vecchia vicina di casa da cui passa la maggior parte del tempo. Sua madre decide di mandarlo a scuola in un collegio di suore e questo sarà l'inizio e la fine. Prende via la sua convinzione di essere sbagliato e che non ci si può fidare di nessuno e finiscono la sua innocenza e ingenuità. Cesare cresce, si trasferisce con la famiglia dal Friuli alla periferia di Milano, suo padre finisce in carcere, sua madre cade in una profonda depressione, non hanno un soldo e la sua vita fa schifo. Conosce un ragazzo poco più grande di lui, un bulletto che si fa chiamare Gabbo di cui si invaghisce, per il quale farebbe ogni cosa e per colpa del quale cerca di diventare qualcosa che non è.
Lui, costantemente fuori luogo, si trova in situazioni a cui non riesce a dire di no, vittima della sua solitudine e della sua inadeguatezza e affamato di quell'amore che non sa neanche di volere.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Come ti chiami?”
“Cesare.”
“Come sei fatto?”
Ero fatto di sangue denso come piombo, di pelle trasparente, di unghie seghettate dai miei canini, soprattutto di notte, durante il sonno, quando nel corso dei sogni le sbranavo tanto da puntellare il cuscino di gocce di sangue. Ero fatto di ossa che mi parevano troppo lunghe e di peli nuovi, biondi, lisci sul petto e arricciati sui polpacci, che non mi piacevano.
Mi pareva, a volte, di essere fatto storto. Altre volte, mi sentivo carta fradicia."
Con l'aiuto della prima persona, questo libro "diario", così schietto e trasparente, arriva al cuore come una pugnalata.
Tra gag divertenti e spietate ti ferisce profondamente, ti fa pensare a quanto difficile possa essere la vita per un ragazzino "solo", di quanto sia facile perdersi quando nessuno ti indica la strada o ti prende la mano per attraversarla, quanto gli adulti siano spesso inadeguati e crudeli e come a volte basti un abbraccio per cambiare una vita.
"Non è vero che la storia dei crimini, di tutti i crimini, è una storia breve che si consuma nel poco tempo impiegato per pensarli, ammesso che li si abbia pensati, e per commetterli, ammesso che li si abbia commessi.
Non è vero che tutto si riduce alle poche righe di un verbale o alle pagine di una sentenza.
Ogni crimine è invece una vicenda con radici lunghissime, pelose, intricate, affossate in un passato lontano,
in apparenza irrilevante."
Cercando immagini del libro su internet scopro che molti lettori hanno “capito” il senso della copertina, quel mezzo volto a grandezza naturale a cui mancano solo gli occhi. Quegli occhi che possono essere i miei, quel naso sanguinante che sarebbe potuto essere il mio.
5/5