"Tutti sanno" è l’invocazione del cliché e l’inizio della banalizzazione dell’esperienza, e sono proprio la solennità e la presunta autorevolezza con cui la gente formula il cliché a riuscire così insopportabili. Ciò che noi sappiamo è che, in un modo non stereotipato, nessuno sa nulla. Non puoi sapere nulla. Le cose che sai … non le sai. Intenzioni? Motivi? Conseguenze? Significati? Tutto ciò che non sappiamo è stupefacente. Ancor più stupefacente è quello che crediamo di sapere."
L’ho già detto, lo so, ma lo ribadisco: Philiph Roth era il più grande. Punto.
Ho appena terminato "La macchia umana", suo romanzo del 2000 ed è stato, come sempre, un vero piacere avere a che fare con una delle più grandi penne del nostro secolo. Ogni parola perfetta, ogni paragrafo sublime.
Letto in ritardo, ma del resto me ne mancano ancora molti dei tanti libri di Roth, e per fortuna evitando la visione del film che suppongo mi avrebbe “rovinato” in parte la lettura di questo meraviglioso romanzo.
Il libro è ambientato nel 1998, in un’America scandalizzata dagli undici pompini che Monica Lewinsky fece al presidente Clinton durante il biennio trascorso come stagista alla Casa Bianca. Era " l’estate in cui il segreto di Bill Clinton venne a galla in ogni suo minimo e mortificante dettaglio… l’estate di un’orgia colossale di bacchettoneria, un’orgia di purezza nella quale al terrorismo subentrò, come dire, il pompinismo, e un maschio e giovanile presidente di mezza età e un’impiegata ventunenne impulsiva e innamorata, comportandosi nell’Ufficio Ovale come due adolescenti in un parcheggio, ravvivarono la più antica passione collettiva americana, storicamente forse il suo piacere più sleale e sovversivo: l’estasi dell’ipocrisia”.
Coleman Silk è un accademico rispettato e stimato di un ateneo del New England. A pochi anni dalla pensione, però, si scatena contro di lui un'ingiusta accusa di razzismo mossa da due studenti. I colleghi e gli amici di un tempo lo abbandonano e lui lascia la sua cattedra sdegnato, in preda ad una rabbia che ha radici profonde e che agita fantasmi sopiti di un passato tenuto nascosto. Lasciato il suo ruolo di accademico e dopo la morte della moglie, inizia una relazione con una bidella 35enne analfabeta e con un passato difficile alle spalle e un'amicizia con Nathan Zuckerman (alter ego di Roth), scrittore suo vicino di casa, a cui chiede di scrivere il libro sull’ingiustizia che gli è stata fatta. Il rapporto con la giovane bidella non farà che causare sdegno nella comunità e un destino tragico per entrambi. All'amico scrittore il compito di rimettere assieme i pezzi del mosaico attraverso la sua testimonianza nel libro che è appunto "La macchia umana".
"Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta.
Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c'è altro mezzo per essere qui."
Roth come sempre non trattiene la sua furia contro l’ipocrisia, il moralismo, il politicamente corretto. Racconta un America di vili e codardi, una società malata di bigottismo capace di condannare una storia d’amore, solo perché non accettabile.
Riesce a mettere in scena situazioni di indescrivibile poesia, sensualità, crudeltà e tensione con una capacità di analisi che pochi sanno raggiungere. In questa storia piena di colpevoli emergono in realtà solo vittime: chi del perbenismo, chi della violenza, chi dei traumi di una guerra, chi della propria insicurezza, chi di un segreto troppo grande.
"Nulla può isolare dal più infimo livello del pensiero."
Philip Roth non c'è più ma per fortuna i suoi libri saranno con me per sempre.
5/5