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C.

non si giudica un libro dalla copertina


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Un occasione sprecata.

Questo è il mio primo commento a caldo e ahimè anche a freddo, di “Piccolo mondo perfetto” di Kevin Wilson.

Wilson è un giovane autore conosciuto principalmente per il film tratto dal suo primo bellissimo romanzo “La Famiglia Fang”.

Di lui ho letto anche la raccolta di racconti “Fino al centro della terra”, una delle raccolte migliori che abbia mai letto.

Detto questo capirete il mio entusiasmo nello scoprire l’uscita di un suo nuovo romanzo.

Leggo la trama e mi dico, che figata!

Orfana di madre e con un padre alcolizzato, la diciannovenne Izzy Poole rimane incinta di Hal, il suo insegnante di Arte del liceo. Lei, intelligente e schiva, sente di volere il bambino e decide di tenerlo; ma Hal, vittima di problemi psichiatrici, non regge la responsabilità e si suicida.

Preston Grind, psicologo a sua volta figlio di celebri psicologi e segnato da un passato traumatico, dà avvio a un innovativo progetto di educazione infantile: il Progetto Famiglia Infinita. Nove coppie in condizioni economiche e sociali disagiate e in attesa del primo figlio trascorreranno dieci anni in una tenuta dove alleveranno i propri bambini come una sorta di famiglia allargata; anche Izzy, unico genitore single, entrerà a far parte del programma

Con un’idea così sono milioni gli spunti di riflessione, le dinamiche che si possono innescare, infinite le variabili.

A lui la scelta su che strada prendere: poteva lavorare su un protagonista solo o su tutti, sull'individualità di ogni bambino e genitore, il rischio era un libro di 1000 pagine, certo, ma ne ha tirato fuori comunque un tomo di 500 che non riesce però ad approfondire in maniera originale niente di quello che mi aspettavo.

Il libro non entra mai in profondità, segue le storie dei genitori (nello specifico solo dei due personaggi principali), delle tensioni e gelosie che ovviamente si vengono a creare in una convivenza di questo tipo ma non arrivi mai a farne parte.

Non entri mai, come lettore, in quella casa, nei loro umori, dubbi, paure; i nomi dei protagonisti te li devi andare a rileggere spesso per quanto poco siano stati approfonditi e i bambini, a parer mio quelli che sarebbero dovuti essere i veri protagonisti, quasi un contorno.

Gli anni passano velocemente capitolo dopo capitolo, i bimbi crescono apparentemente bene, tutto procede come deve, tranne qualche tensione o segretuccio. Troppo poco, voglio di più.

Come si cresce condividendo i tuoi genitori con altri 8 bambini? Come si cresce chiusi in un edificio dove apparentemente non ti manca nulla se non il contatto con il mondo esterno? Come può una madre condividere l’educazione del proprio figlio con 18 estranei? Come puoi arrivare a considerare tuoi bambini che non lo sono, allo scopo di un esperimento?

Wilson era riuscito con i Fang, a descrivere gli inganni che esistono nei rapporti tra genitori e figli, a dar vita a un affascinante e geniale ritratto di una famiglia anticonvenzionale, ma in questo lavoro, pur molto vicino come tematiche, non riesce a scavare a fondo.

Un libro che si legge sicuramente molto bene, lui si conferma uno scrittore dalla penna notevole e dalle idee originali ma questa volta il passo è stato più lungo della gamba.

Un libro da cui si potrebbe trarre facilmente e con risultati migliori una serie Tv, e suppongo accadrà.

La famiglia può rovinarti la vita oppure te la può salvare: quel che è certo è che dalla famiglia non c’è via di uscita.

3/5


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