"Io sono un morto-ancora-in-vita. Io sono un vivo-già-morto.
E se questo slogan non basterà a riempirvi la tenda di gente allora io sono anche qualcosa di piú.
Io sono l’uomo che ha salvato la democrazia nel mondo."
Non è un caso che il fondo dell’immagine del libro di cui sto scrivendo sia nero.
È nero perché, dopo lungo pensare, mi è sembrata l’unica cosa possibile. Nero come la realtà di Johhny, come il mondo che lo circonda dal giorno che si risveglia in ospedale, reduce da una battaglia durante la prima guerra mondiale.
Johhny ha perso gambe, braccia e parte del volto. Non sente, non vede, non parla.
Un tronco umano a cui resta però un cervello perfettamente funzionante ma incapace di comunicare con il mondo.
Un incubo peggio della morte.
Dalton Trumbo (famoso sceneggiatore degli anni 40, conosciuto anche per il suo passato da reietto e perseguitato a causa delle sue idee politiche) scrive un unico romanzo, un capolavoro diventato simbolo di tutte le guerre e dell’assurdità di esse, "E Johnny prese il fucile". (Titolo che scimmiotta la frase "Johnny prendi il fucile" (in originale: "Johnny get your gun"), usata per invitare i giovani a entrare nell'esercito americano tra la fine del 19mo e l'inizio del 20mo secolo.)
Una lettura indispensabile, una di quelle che oltre a farti riflettere colpendoti dritto al cuore e al cervello, senti di dover far leggere a tutti, di parlarne stupendoti che il mondo, finora, non l’abbia fatto abbastanza, che non lo facciano leggere ai ragazzi a scuola e in ogni paese del mondo.
Perché è un libro universale, così come la guerra, che ha toccato e continuerà ad affliggere il nostro pianeta.
Magari non sarà più quella che manderà a casa ragazzi mutilati fisicamente come Johnny ma che toglierà a loro tanto, troppo, pur lasciandogli la voce per parlare o gli occhi per vedere. Perché avranno voce ma gli mancheranno le parole e chiudendo quegli occhi continueranno a vedere l’atrocità della guerra.
Johnny è il prodotto di tutte le guerre, del concetto paradossale che è “morire in nome della patria”.
“La vita è terribilmente importante perciò se l’hai data via per qualcosa negli ultimi minuti che ti restano penserai con tutte le tue forze alla cosa per la quale l’hai tradita. Dunque tutti quei ragazzi sarebbero morti pensando alla democrazia e alla liberazione e alla libertà e all’onore e alla sicurezza del focolare domestico e alle strisce e alle stelle della bandiera americana? Hai proprio ragione tu non l’hanno fatto. Sono morti piangendo dentro di sé come neonati. Hanno dimenticato la cosa per cui combattevano per le cose per cui stavano morendo. Hanno pensato a cose che un uomo può capire. Sono morti desiderando ardentemente di vedere il viso di una persona amica. Sono morti invocando una madre un padre una moglie un bambino.
Sono morti col cuore straziato dalla voglia di rivedere un’ultima volta il luogo in cui erano nati. Sono morti gemendo e sospirando la vita. Sapevano quali erano le cose importanti. Sapevano che la vita era tutto e sono morti tra urla e singhiozzi. Sono morti con un solo unico pensiero in testa che era voglio vivere voglio vivere voglio vivere.
Lui lo sapeva bene. Lui era la cosa piú vicina a un morto che ci fosse sulla terra."
Johnny è una vittima, non ha apparentemente nessun motivo per continuare a vivere ma non può nemmeno togliersi la vita. Cerca con il pochissimo che gli resta di capire il mondo attorno a sé, lo scorrere del tempo e infine, di comunicare.
Ci riuscirà e avrà la possibilità di chiedere aiuto, di esprimere un desiderio.
Il finale, toccante e spietato, ti lascia con l’amaro in bocca e le lacrime agli occhi.
Continui a confidare nell’uomo ma non più nell’umanità.
Scritto volontariamente senza punteggiatura, come un unico, lungo, pensiero, questo testo è un inno alla pace e un NO definitivo e indiscutibile alla GUERRA.
"Dateci un fucile e noi sapremo cosa farne. Dateci degli slogan e noi li trasformeremo in realtà. Cantate gli inni di guerra e noi li continueremo là dove voi li avete smessi. Non uno non dieci non diecimila non un milione non dieci milioni non cento milioni ma un miliardo due miliardi saremo noi la popolazione della terra avremo gli slogan avremo gli inni avremo i fucili e sapremo cosa farne e continueremo a vivere. Cercate di non sbagliarvi su questo punto noi continueremo a vivere.
Saremo vivi e cammineremo e parleremo e mangeremo e canteremo e rideremo e sentiremo e ameremo e partoriremo i nostri figli nella tranquillità nella sicurezza nella dignità della pace.
Voi progettate pure le guerre voi padroni di uomini progettate le guerre e puntate il dito e noi punteremo i fucili."
P.S. Mi sono resa conto solo terminato il post, delle tante ripetizioni della parola "guerra", ma purtroppo (e per fortuna) è una parola che non ha sinonimi, né sfumature o interpretazioni.
5/5