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  • S.

non si giudica un libro dalla copertina


“Non so niente di mio fratello morto, se non che gli ho voluto bene. Sento moltissimo la sua mancanza, e tuttavia non so chi ho perso. Ho perso il piacere della sua compagnia, la gratuità del suo affetto, la serenità dei suoi giudizi, la complicità del suo senso dell’umorismo, ho perso la quiete. Ho perso quel po’ di tenerezza che c’era ancora al mondo. Ma chi ho perso?”

Sarà l'argomento o sarà che tutto quello che tocca Pennac si trasforma in oro, ma questo piccolo libricino di appena 130 pagine, mi ha davvero emozionata molto.

Breve ma sincero e delicato e soprattutto pieno di quell'eleganza che caratterizza le opere dello scrittore francese.

Bernard, il fratello di cinque anni più grande di lui, muore circa dieci anni fa per un caso di malasanità. Ricoverato in una clinica privata per una operazione alla prostata, gli viene effettuata, per errore, la resezione di parte dell'intestino. Il dolore blocca Daniel, che vorrebbe scriverne ma non trova le parole. Allestisce invece un testo teatrale, di Melville, "Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street", soggetto da entrambi i fratelli molto amato.

Dopo dieci anni, una bella mattina, seduto in macchina, viene superato da una Ferrari a tutta velocità e all'improvviso ha un'illuminazione. Capisce come scrivere del fratello, in che termini. Capisce che la velocità di quella macchina rappresenta l'esatto contrario di quello che è stato suo fratello: lento, pacato, morigerato.

Nasce quindi questo libricino in cui lo scrittore alterna dolcissimi momenti di racconto di vita e di complicità con il fratello, alla messa in scena nei teatri d'Europa del suo adattamento di Bartleby, personaggio che ricollega al fratello scomparso per via delle moltissime affinità. Come lui, schivo, tranquillo, ermetico e con una totale mancanza di vita sociale.

In realtà quindi questo racconto ha due principali temi di lettura: da un lato il racconto del fratello, dei momenti malinconici ma anche e soprattutto del grande umorismo che li legava; del grande affetto ma anche della mancanza di intimità.

E dall'altro la riscoperta di questa opera minore di Melville che, considerata l'epoca in cui venne scritto (metta dell'ottocento), incuriosisce e sorprende per l'originalità del tema e che Pennac ha fatto conoscere rappresentadolo in tutta Europa.

Un libro che mai sfocia nel melodramma, mai diventa melenso o patetico. Non ci si strugge dal dolore ma lentamente si assaporano le parole tenere e innamorate di un fratello che porta a galla i ricordi tristi ma anche i momenti divertenti e ironici.

Ricordi di quando, appena dodicenne, lo iniziò alla lettura, invitandolo a scoprire "Guerra e Pace" o delle loro interminabili partite a scacchi, nel silenzio di incontri pieni di empatia nei quali mai ci sono stati scambi di confessioni o segreti ma nel quale ritrovava la serenità di un rapporto sincero e affezionato.

"La confidenza non era nelle nostre abitudini, eravamo gli ultimi rappresentanti del mondo del silenzio. Due pesci intenti a giocare a scacchi per il puro gusto di non battere l'altro. Intorno a noi, nel corso delle nostre vite, la parola si liberava, crollavano le dighe e l'intimità dilagava fuori dalle famiglie, dalle coppie, dalle amicizie, dalle aziende, dai partiti politici; invadeva i giornali, gli schemi, le piazze, la rete...Noi invece portavamo a spasso i cani nel silenzio e quando in montagna ci perdevamo di vista ci ritrovavamo fischiando con le dita"

Si riescono a trattenere in qualche modo le lacrime solamente fino al racconto finale della foto. Quella in cui loro due, bambini, sono seduti sul muretto di casa e Bernard gli tiene una mano sulla spalla quasi a trattenerlo dal cadere, come a volerlo proteggere.

Un'immagine dolcissima e molto commovente.

Cos'altro posso dire di Pennac, se non che tutte le volte mi lascia con stupore per il suo talento e la sua grande capacità di trattare temi profondi e toccanti con leggerezza e semplicità, e con la perfetta e irrinunciabile dose di ironia come solo i grandi autori sanno fare.

"La sua presenza mi mancava”, scrive, “Lui però veniva spesso a trovarmi. Con garbo, devo dire. Discreto, si intrufolava dentro di me”

5/5


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