Avevo già avuto il piacere di conoscere Davide Longo, prima di cimentarmi in "Così giocano le bestie giovani".
Per questo motivo ero curiosa di leggerlo. Perché con "L'uomo verticale" mi aveva stesa. Mi aveva lasciata inaspettatamente senza parole; era riuscito a tirar fuori una storia distopica, sorprendente ed originale.
Non era facile mantenere il livello così alto, e in effetti questa volta non ho avuto la stessa reazione.
Il suo talento non si discute, raffinato e accurato, ma la storia, seppur per certi versi interessante, non mi ha particolarmente colpita.
Siamo nel 2008, quando nella periferia torinese vengono trovati resti umani durante gli scavi per costruire una linea ferroviaria. Si pensa subito si tratti di cadaveri risalenti la Seconda Guerra Mondiale ma il commissario Arcadipane, che inizialmente seguirà le indagini, grazie alla collaborazione con il suo ex capo, il commissario Bramard, troverà indizi contrastanti.
Le indagini quindi porteranno ad una altra pista, legata ad un omicidio di matrice politica, avvenuta nei primi anni settanta.
All'interno di questi eventi, nei quali si sviluppa una trama noir, Longo descrive i suoi personaggi, con le loro storie, le loro fragilità e debolezze e nella quale trovo la parte migliore del libro: il percorso di Arcadipane, alle prese con una famiglia che lo ignora, un matrimonio in crisi, due figli adolescenti e i ritmi frenetici del lavoro, e con l'unica compagnia di un cane zoppo (Trepet). Fantastiche le pagine dedicate alle sue sedute con una psicoterapeuta imprevedibile quanto strana, che cercherà, con metodi poco ortodossi, di aiutarlo a superare le sue difficoltà.
Oppure quello dell'ex capo Bramard, rifugiatosi in un piccolo eremo per cercare di dimenticare la morte dell'amata moglie.
Si tratta, come detto, di un noir, quindi non proprio un genere che mi appassiona, ed effettivamente le pagine che mi sono davvero piaciute sono quelle più intimiste, quelle relative alle indagini sì, ma dei personaggi e della loro quotidianità, fatta di problemi ma anche di una leggera ironia che non stona affatto.
Un dubbio, per finire, Il libro è pieno zeppo di errori grammaticali; nello specifico di errori nell'uso dei congiuntivi. Non posso pensare né che Longo non ne sappia fare uso (ricordo che è insegnante di scrittura presso la Scuola Holden di Torino) né che la Feltrinelli non abbia editor in grado di cogliere questi errori banali. Sono quindi piuttosto basita difronte a questo strano caso. Non so darmi una spiegazione, in ogni caso la cosa è disturbante. Peccato.
Longo comunque non mi disturba affatto e nonostante non sia stato un romanzo che ha lasciato il segno, leggerò senz'altro i suoi prossimi romanzi, con curiosità, perché una cosa è sicura, non sono mai banali.
3/5