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La Grande Bellezza


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NO.

BlacKkKlansman non è il film più bello di Spike Lee.

Il più bello è “La 25° ora”. (capolavoro assoluto non solo suo ma della cinematografia del nostro secolo)

Punto.

Detto questo...

SI.

BlacKkKlansman è proprio un bel film.

Sono gli anni ’70 e Ron Stallworth (John David Washington) è il primo agente afro-americano che lavora nel Dipartimento di Polizia di Colorado Springs. Determinato a farsi un nome, Stallworth si imbarca coraggiosamente in una missione pericolosa: infiltrarsi e smascherare il Ku Klux Klan. Per l’importantissima indagine sotto copertura, Il giovane agente presto recluta un collega di maggiore esperienza, Flip Zimmerman (Adam Driver). Insieme i due fanno squadra per abbattere l’estremistico Gruppo dell’Odio mentre l’organizzazione si prefigge di dare una ripulita alla sua violenta retorica per conquistare la massa.

Il film, presentato e premiato a Cannes, inizierebbe con una didascalia inequivocabile, a caratteri maiuscoli, cubitali:

DIS JOINT IS BASED UPON SOME FO’ REAL, FO’ REAL S—. Lo slang è palese e la sostanza altrettanto: è una storia vera.

Ho usato il condizionale perché nella versione doppiata manco la scritta iniziale hanno lasciato, quei maledetti, e tutta la pellicola perde, in generale, proprio a causa del doppiaggio, un buon 40% di forza e carattere.

Peccato.

Davvero.

Perché un’ opera come questa, a parte la morale e il senso della storia che arrivano comunque e inequivocabilmente, vive anche di parole, di quelle esatte parole e gag in americano che non riusciremo MAI a rendere nella nostra lingua.

MAI.

Smettiamola di provarci.

Il mio consiglio a questo punto è forse quello di aspettare di vederlo in lingua originale e quindi portare pazienza e attendere che arrivi su Netflix o peggio, l’uscita in DVD (o attaccatevi a Torrent).

Dopo il pistolotto sul doppiaggio (scusate ma era inevitabile) ...

Perché BlacKkKlansman è un bel film?

Perché è una commedia (ma anche drama, poliziesco e thriller) che ti fa pensare, sembra facile ma non lo è.

Perché ha una sceneggiatura strepitosa, dialoghi originali e situazioni al limite del grottesco senza però diventare grottesco.

Perché è reale anche se pieno zeppo di stereotipi (Il bifolco americano, i giovani neri intellettuali, il poliziotto razzista, etc…)

Perché riesce a rimanere in equilibrio su quel filo sottile del rispetto e buon gusto toccando temi spinosi con ironia, arrivandoti al cuore e al cervello attraverso anche una risata.

Perché c’è il meglio di Spike, grande regista che sì, ha fatto anche un sacco di film deludenti ma che quando deve parlare di razzismo e giustizia, lo fa senza mezze misure e col pugno nero alzato.

Un film dichiaratamente schierato, senza nessun tipo di autocritica, come giusto che sia in questo caso, un film ambientato mezzo secolo fa ma attuale.

E per chi, questa attualità non la percepisse, ci pensa il regista che chiude il film con scene di cronaca dei giorni nostri che mostrano tutta l'intolleranza e l'odio ancora presenti in diversi paesi del mondo.

Finale criticato da molti ma che a mio avviso è la ciliegina sulla torta. Non è retorica, è realtà.

Perché è un film che racconta una storia vecchia, ambientata in un periodo storico lontano, di movimenti per il potere nero e integrazione, di nascita di un pensiero moderno e bianchi incappucciati che ci appaiono come roba da libri di storia.

E invece, dopo aver visto una bella commedia nera in stile Starsky e Hutch, eccovi il pugno allo stomaco e la consapevolezza che quei tempi non sono poi così distanti dall'oggi. Che la storia, come sempre accade, si sta ripetendo.

Un film dichiaratamente anti-Trump, sul decadimento culturale e ideologico di quel grande paese di ideali e libertà che è l'America.

Quell'America di cui tutti conosciamo la bandiera, quella bandiera che Spike tristemente capovolge e a cui toglie i colori, lasciandone solo il bianco e il nero, quelli dei due popoli che da sempre la abitano, che l'hanno resa quella che è ma in cui faticano tutt'ora a convivere.


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