top of page
Thebloodyisland

non si giudica un libro dalla copertina


"Semplicemente sono stato ignorato, negletto, revisionato e cancellato. Nessuno mi ha detto parole di tenerezza, incoraggiamento o misericordia. Non valevo neppure la fatica necessaria alla crudeltà o al disprezzo.

Me la sono cavata con l’ottimismo, e lui se l’è cavata con me."

Ripley Bogle è un ragazzo di soli ventidue anni, nato nei sobborghi di Belfast da madre prostituta di origini irlandesi e padre gallese, alcolizzato.

Da un simile connubio non poteva nascere nulla di buono.

"Appaio quel che sono, una brutta storia."

Innamorato della strada, delle risse, del fumo e degli amori impossibili, Ripley butta al vento il suo grande talento: ha una intelligenza fuori dal normale che gli ha permesso di entrare nel prestigioso Trinity College a Cambridge ma la sua vocazione per la vita da strada, la sua voglia di libertà e il suo senso di ribellione, lo riportano al suo stato: a fare il barbone nelle strade di Londra, a patire la fame e il freddo, nelle lunghe notti solitarie e pericolose.

Sarebbe anche un ragazzo belloccio, Ripley, se non fosse per il colorito giallognolo, la magrezza e il passo claudicante, dovuti ad anni di vagabondaggio.

Come si è ridotto in questo stato?

In tutto il romanzo il ragazzo ci parla, in prima persona e a tratti rivolgendosi proprio al lettore, per spiegarci sin dalla più tenera età cosa lo ha portato ad un passo dalla morte per sfinimento.

Una famiglia violenta, un ambiente povero e disagiato, costanti delusioni amorose e un precoce attaccamento alla bottiglia. Questi alcuni dei motivi.

Questa, in breve, la trama di "Ripley Bogle", di Robert McLiam Wilson, qui al suo debutto come scrittore, che Fazi Editore ha deciso, giustamente, di ri-editare, dopo il successo di "Eureka Street".

La sua prosa è molto elaborata e a tratti di difficile comprensione (da seguire con estrema concentrazione), con una ricchezza di espressioni incredibile, soprattutto se si pensa che si tratta di un debutto.

Ovviamente quello che manca è un po' di maturità. Lo svolgimento risulta un po' ripetitivo e con un trama fragile.

Nonostante però queste mancanze, il tutto rimane molto interessante, proprio dal punto di vista lessicale, con una grande ironia e una crudezza che ripagano della difficoltà di alcuni passi.

A tratti ci si perde ma Wilson è sempre molto bravo nel riportarti all'attenzione.

Ritroviamo già, come sarà poi in Eureka Street, la sua capacità di ripercorrere la storia politica e culturale di un paese, in questo caso della sua amata Irlanda, dell'IRA e della situazione di difficile convivenza tra cattolici e protestanti e di Londra negli anni 80.

Un libro che fa riflettere sulla condizione dei senzatetto, da quello a cui capita a quello che lo fa per scelta.

Da quello che pensa di non meritare di meglio, a quello che non potrebbe fare altro.

E da qui una riflessione profonda anche sul concetto di ricchezza e stato sociale, senza retorica o populismi, ma affrontata con schiettezza e sincerità.

"La ricchezza è naturalmente solo un modo di misurare la propria distanza dalla povertà. È la misura di quanto non sei povero. Un Creso si rende conto di essere Creso solo quando può vedere un vagabondo come me che si trascina fuori dal suo palazzo. Ha bisogno di me. Cosa sarebbero le sue ricchezze senza di me?"

Provi rabbia per questo ragazzo dalla mente acutissima e dall'intelligenza profonda che si lascia andare, vittima del suo passato, del suo brutto carattere, incapace di credere realmente in se stesso e che non ha mai provato l'amore di una famiglia.

Cerca comunque di mantenere una dignità nel suo essere un barbone, fa una vita solitaria e sopporta la costante vergogna della sua condizione.

"Alcuni sono nati poveri e altri vengono resi poveri. Non so bene quale caso sia il mio. Credo entrambi. Socialmente parlando sono una farfalla. Sono senza casa ma faccio attenzione alla gente con cui sto. Non mi voglio lasciar andare.

Devo stare attento. Sono diverso. Non sono come gli altri barboni. No."

Il finale è senza dubbio inconsueto e trasforma questo memoir in una vera e propria confessione, Ripley ti racconta tutto, mette a nudo le sue colpe e vergogne, ti dice tutta la verità.

"Da morto sei la muta giustificazione delle tue bugie, dei tuoi fraintendimenti, delle tue inaccuratezze."

Lo si potrebbe considerare come un ottimo trampolino di lancio per il lavoro scritto poi molti anni dopo, appunto "Eureka Street", un capolavoro che consigliamo sempre.

3,5/5


0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page