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  • C.

non si giudica un libro dalla copertina


"Aspiro alla medietà... Sono stata al centro di fin troppa attenzione in vita mia.

Ignoratemi, passate oltre, non c’è nulla da vedere qui."

Di "Eleanor Olyphant sta benissimo", opera prima di Gail Honeyman, romanzo d'esordio più venduto di sempre in Inghilterra, dove è da più di un anno in vetta alle classifiche, si sta leggendo davvero tanto; se ne parla come di un capolavoro

(stiamo calmi), di un libro che secondo la stampa internazionale più autorevole rimarrà negli annali della letteratura.

Io l'ho letto. È un buon libro ma diciamocelo, non un capolavoro.

Sicuramente a provocare tutto questo entusiasmo è il fatto che, in questo testo, tante donne e non solo, si possono identificare. È un libro pieno di empatia, un libro sulla resilienza, quasi un "libro-aiuto", mi verrebbe da dire.

Ma di cosa parla? Eleanor Olyphant è una trentenne disadattata, al limite dell'emarginato. Vive sola, va al lavoro tutti i giorni in un grande ufficio in cui però non ha amici e viene ostracizzata da tutti. Il suo carattere non l’aiuta, è a dir poco "stramba", dice sempre quel che pensa, ingenua in maniera inquietante, sembra viva in un mondo tutto suo e il suo aspetto peggiora le cose: una lunga cicatrice le attraversa il volto, ricordo indelebile di un passato che nessuno conosce e che neanche lei stessa vuole ricordare.

La vita di Eleanor verrà sconvolta lentamente da una semplice conoscenza, la prima persona che si comporterà in maniera gentile, che la tratterà con attenzione e affetto e che la porterà ad aprirsi, capirsi e amarsi. Inizierà una terapia che la condurrà a conoscere e accettare la verità sul suo passato.

Il libro parte molto bene, scritto in prima persona da questo personaggio che ami da subito, che riesce a scatenarti tenerezza e rabbia allo stesso tempo. Procede altrettanto bene ma in maniera un po' scontata, la trama è interessante ma troppo velocemente se ne deduce il fulcro. Forse mi aspettavo un evolversi diverso, più originale. Il finale certamente riprende forza giocando sul colpo di scena (a cui però ero già arrivata, e non penso solo io) ma non ce la fa del tutto.

Un libro più bello per ciò che comunica che per la scrittura in sé (che manca di unicità), un libro ottimista, che parla di solitudine, di elaborazione del lutto, di emarginazione e di quanto sia difficile e doloroso il percorso verso l'accettazione di se stessi.

Un libro che può fare bene, molto bene, a chi convive con la solitudine e il senso di inadeguatezza costante e che rileva l'importanza della gentilezza, ormai sempre più rara e inaspettata.

"Ci sono stati momenti in cui avevo l’impressione che sarei morta di solitudine. Talvolta la gente dice che potrebbe morire di noia, che muore dalla voglia di una tazza di tè, ma per me morire di solitudine non era un’iperbole."

Eleanor si domanda: "Si può morire di solitudine?". Io mi domando:" La gentilezza può salvare una vita?".

La risposta è SI per entrambe le domande.

La Honeyman dopo questo esordio (che diventerà anche un film), è già alle prese con un secondo romanzo completamente diverso, dice lei stessa nell'intervista alla fine del libro. Io spero diventi quella grande scrittrice che ancora, a parer mio, non è ma che può certamente diventare.

Il talento c'è, il pubblico lo ha già.

3/5


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