Appena uscito per Fazi Editore, "nuvole di fango", romanzo d'esordio della psicologa forense Inge Schilperoord mi ha lasciata con molti dubbi.
Una scommessa difficile, un argomento che scotta: insinuarsi dentro la mente malata di un pedofilo che cerca in tutti i modi di lottare contro le sue inumane pulsioni.
Devo dire che l'autrice è molto brava nel fare in modo che si sospenda in qualche modo il giudizio, nonostante l'orrore inevitabile che si prova. Addentrarsi nei suoi pensieri e farci vedere il mondo con i suoi occhi aiuta a trovare la giusta distanza, anche se l'argomento è di quelli che non vorresti mai ritrovarti ad affrontare. Riesce comunque nel difficile compito di farci trovare il lato umano, la debolezza che sembra impossibile vedere.
La trama: Jonathan è un pedofilo, appunto, che esce di prigione per mancanza di prove schiaccianti a suo carico. Vive una vita di solitudine in un piccolo paesino di pescatori a nord dell'Olanda con la madre, il suo cane fedele e una tinca che ha salvato da morte certa e che ora cerca di far sopravvivere nel suo acquario. La tinca, detta anche "nuvola di fango" è un pesce che d'estate si immerge nei fondali per ripararsi dal caldo, sollevando inevitabilmente nuvole di fango. Così come Jonathan, che si nasconde da tutti, spaventato, silenzioso e diffidente, cerca di muoversi il meno possibile ma quando lo fa, nuvole minacciose si scorgono all'orizzonte.
Tutto sembra andare per il meglio fino a che non incontra la piccola Elke, della casa accanto, che ha aiutato la madre durante la sua assenza, occupandosi del cane. Una bambina con genitori assenti, magra e deperita che cerca in Jonathan un'ancora di salvezza, un amico, un compagno di giochi. Da par suo Jonathan inizialmente si convince di poterla aiutare, di riuscire a superare il desiderio che gli offusca la mente e la ragione. Combatte quotidianamente con i suoi impulsi che cerca in ogni modo di reprimere.
Tutte le critiche sono ottime e senz'altro è un esordio che merita attenzione, ma io ho avuto momenti di mancanza di empatia. E anche un po' di noia, a tratti. Nella fase centrale si ripetono ossessivamente gesti e parole. I suoi esercizi di respirazione, i suoi grafici da aggiornare per migliorare l'autocontrollo, la sua ansia di commettere l'insensato gesto, la sua maniacale programmazione di ogni minuto della giornata, tutto si ripete all'infinito e con una certa lentezza. Certo, forse l'autrice ha cercato di farci capire l'ossessione di una mente deviata, che trova sollievo e sicurezza nella ripetitività dei gesti, ma io ci ho trovato poca tensione.
Nel finale ritrova vigore in un crescendo che a dispetto del resto è veloce e spiazzante.
Rimandato a settembre
«Ogni giorno quella paura tremenda, il timore perenne di non farcela più. E ciò nonostante il tempo continuava a scorrere.»
3/5