"Nolite te bastardes carborundorum"
( che i bastardi non ti schiaccino)
Sono passati 32 anni dalla prima edizione di "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood che, complice una serie televisiva ispirata al libro, è tornato come meritava all’attenzione del pubblico e oggi più che mai drammaticamente attuale e plausibile.
Si colloca nel filone del romanzo distopico accanto a "1984" di Orwell, "Farhrenheit 451" di Bradbury, "La svastica sul sole" di Dick, "il mondo nuovo" di Huxley e, al pari di questi, lo possiamo definire CAPOLAVORO e lettura obbligatoria.
È ambientato in un futuro prossimo, in un mondo devastato dalle radiazioni atomiche dove gli Stati Uniti, in cui un movimento fondamentalista cristiano prende il potere con un golpe, sono diventati uno stato totalitario teocratico basato sul controllo del corpo femminile.
Nella neonata repubblica di Galaad, per effetto dell’inquinamento e dei disastri nucleari pregressi, gran parte della popolazione femminile è sterile: le Mogli (consorti dei comandanti che detengono il potere), le Marte (votate ai lavori domestici), le Zie (istitutrici), le Nondonne (ribelli e reiette confinate a lavorare nelle Colonie) e sono tutte catalogate per genere. Così come le pochissime donne ancora in grado di avere figli, le "Ancelle", costrette alla procreazione coatta e di proprietà dei comandanti di cui acquisiscono il nome.
L'ancella che si racconta è Difred (non sapremo mai il suo vero nome), strappata da una vita felice, dal compagno Luke e dalla loro bambina e resa schiava di un regime dittatoriale estremo dove le donne sono private di ogni libertà. Leggere prima di tutto.
Perché una cosa accomuna tutti i libri distopici e purtroppo anche la realtà: in ogni stato dittatoriale la lettura è vietata, censurata o manipolata, perché scrivere è libertà e scegliere cosa leggere è la massima espressione di libertà che abbiamo.
Una libertà oggi messa a rischio da una facile comunicazione social, dove tutto è vero solo perché condiviso, dove tutto dura un attimo e anche il pensiero più becero trova seguaci. Dove libri come questo rischiano di rimanere sugli scaffali dietro a inutili romanzi estivi perché la libertà di scegliere cosa leggere l'abbiamo ancora ma spesso la sprechiamo.
Inquietante come la Atwood, negli anni 80 abbia ipotizzato la facilità con cui la moneta (non esistendo più in forma cartacea) potesse scomparire nottetempo per mano di chi ha potere, così come il passato di ognuno di noi e come, chiudendo gli occhi davanti a segnali allarmanti rischiamo che questi diventino abitudine o peggio ancora, giusti.
Un libro pessimista e allarmista ma che racchiude in sé una speranza nel genere umano, nell'intelligenza e nella cultura, da salvaguardare e considerare come prima arma di salvezza.
L'opera di Margaret Atwood ci obbliga a riflettere in maniera autocritica sulla tuttora fragile condizione femminile, sull’urgenza di affermare diritti che crediamo ormai consolidati senza abbassare la guardia, nonché sui meccanismi di sottomissione religiosa che le stesse donne spesso e paradossalmente alimentano.
Un libro che ogni donna dovrebbe leggere e che ogni uomo dovrebbe voler leggere.
"Se sei un uomo in un qualsiasi tempo futuro, e ce l'hai fatta sin qui, ti prego ricorda: non sarai mai soggetto alla tentazione del perdono, tu uomo, come lo sarà una donna. È difficile resistere, credimi. Ricorda, però, che anche il perdono è un potere. Chiederlo è un potere, e negarlo o concederlo è un potere, forse il più grande. Non si tratta del controllo di una persona sull'altra. Forse non si tratta di chi può stare seduto e di chi deve invece inginocchiarsi, alzarsi o sdraiarsi, a gambe divaricate. Forse si tratta del potere di fare qualcosa e poi essere perdonato"
5/5