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C.

non si giudica un libro dalla copertina


Ai tre aggettivi in copertina aggiungerei: irriverente, audace, arguto, profondo.

Ma tanti altri sono quelli con cui potrei descrivere "Un cazzo ebreo", libro d'esordio della giovane scrittrice tedesca Katharina Volvkmer, e sarebbero tutti positivi o per lo meno, usati con accezione positiva. Sì, perché il libro è anche volgare, irriguardoso ed eccessivo e in questo caso sono complimenti.


L'ho appena finito e credo di essere di fronte a uno dei libri più forti che abbia mai letto, forse mai stati scritti.


"E non capisco perché ogni cosa che riguardi gli uomini debba sempre essere così sovradimensionata, perché le donne abbiano bisogno di sentirsi piccole."


Siamo su un lettino medico, la voce narrante è quella di una ragazza di origini tedesche che si sta sottoponendo a una visita o operazione (si scoprirà solo leggendo) e, in un lungo monologo, interiore o no (sta a voi deciderlo), si rivolge al medico ebreo di cui scorge si è no la nuca e le mani e racconta cosa l'ha portata lì, la sua storia, i suoi inquietanti sogni erotici con Hitler, e si lascia andare a un lungo flusso di coscienza fatto di considerazioni sull'umanità, sul dolore, sull'identità, sull'amore.


Il tono è impertinente, i temi spinosi e le sue considerazioni sono spiazzanti tanto sono vere. La scrittura è formidabile e la struttura geniale.

Leggo che è stato rifiutato a lungo prima di trovare chi lo pubblicasse, perché considerato troppo scandaloso. Beh, penso che la volgarità non sia mai tale quando non è fine a se stessa e la schiettezza è indispensabile per esprime certe realtà e credetemi, leggendolo non sono queste le caratteristiche che ti sconvolgono, quanto invece la serietà di ciò che esprime, la lucidità del pensiero critico, la profonda poesia che nasconde.


"L’altra ragione per cui ho smesso di andare al parco è che ascoltare regolarmente le conversazioni delle altre persone mi faceva sanguinare gli occhi. Nient’altro ti fa realizzare con la stessa brutalità quanto la vita sia davvero banale. Fino a quando parli solo tra te e te puoi sorvolare su qualche dettaglio, ma quando vengo esposta alle chiacchiere senza senso degli altri una fortissima urgenza di uccidermi si impossessa immediatamente di me perché non riesco più a ignorare il fatto che non siamo altro che una stella morente che vaga in un vuoto infinito, senza meritare neanche un raggio di luce solare che ci tiene in vita. Dipendesse da me, il sole a quest’ora sarebbe già esploso da un pezzo."


Un libro che parla di una nazione che non risorgerà mai veramente dalla sua storia e dello spinoso e attualissimo tema della parità e dell’identità sessuale di cui non si deve smettere di parlare, soprattutto se a scriverne sono autori di questo livello.


"Lo so che abbiamo bisogno di illusioni, ma qualche volta penso che non dovremmo avere così tanta paura della verità.

E non intendo la verità sul fatto che la maggior parte dell’olio d’oliva è contraffatto o che dentro una barba su tre ci sono tracce di feci, non è roba divertente e forse è meglio continuare a mentire a noi stessi su queste cose e sui danni che ci procuriamo e procuriamo agli altri.

Ma che mi dice della bellezza?

Non pensa che saremmo tutti più felici se superassimo finalmente quell’illusione?"


5/5


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