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C.

non si giudica un libro dalla copertina


Il 2020 è stato un anno di tantissime letture ed è stato anche l'anno durante il quale, a parte la narrativa, mio primo e grande amore, ho letto molti saggi, genere che mi sta appassionando sempre di più.

Uno di questi, l'ultimo letto in ordine cronologico, è "La valle oscura" di Anna Wiener, un resoconto che la scrittrice fa dei 5 anni durante i quali ha lavorato nella Silicon Valley, in due startup di tech.


"Se a New York" non avevo mai preso in considerazione che dietro internet ci fosse qualcuno, a San Francisco era impossibile dimenticarlo. I loghi tondeggianti delle startup brillavano in cima a magazzini e palazzi di uffici, e ornavano i cappelli, i gilet e i completi da ciclista dei pendolari in centro."


Siamo a metà degli anni 2000, un periodo che è stato l’apice o l’inizio della fine per le startup della Silicon Valley, in cui queste erano valutate dai loro investitori più di un miliardo di dollari. La Wiener veniva da un lavoro come assistente in un'agenzia letteraria e si ritrova a San Francisco dove inizia a lavorare per una startup che celebra “il culto dei big data”, termine di cui lei ignora quasi il significato.

Arriva con il suo tailleur da lavoro e si ritrova in un ufficio che sembra un appartamento, dove si comunica tramite messaggio anche con chi lavora nella scrivania accanto e i colleghi indossano t-shirt aziendali con scritto ‘I am data driven’, si riferiscono alla Silicon Valley come all’ecosistema e si muovono per l’ufficio sul waveboard.

Passerà poi a lavorare per una seconda azienda dove gli uffici manco vengono usati, i dipendenti lavorano da casa, o da dovunque vogliano, dove gli ingegneri sembrano deejay e i colleghi “si muovono a piedi scalzi per uffici che somigliano a circoli ricreativi, indossano leggings di lycra con stampate emoji di unicorni, magliette con le facce di colleghi, collari da bondage, pellicce in stile Burning Man”.

Insomma, quelle realtà che vediamo in molti film americani e che, un po', invidiamo, convinti che quella libertà "apparente" sia una libertà reale.

La Weiner descrive oltre i luoghi, chi li abita e il sistema controverso di un lavoro che non comprenderà mai a fondo in una città che non è più la San Francisco che tutti conoscono ma una città in continua trasformazione, dove diventa sempre più inaccessibile vivere e dove tutto cambia nel giro di pochi mesi.


E' un racconto in prima persona sulla cultura delirante e spericolata di un sistema in un momento di ambizione incontrollata, sorveglianza non regolamentata e ricchezze selvagge e su questo cerca di far riflettere senza però farne una vera denuncia.


Il tema è interessantissimo ma purtroppo, pur essendo un memoir, la prosa è molto fredda e la voce mantiene un distacco spiazzante. Non si arriva a conoscere a fondo lei, persona con cui non sono riuscita a creare alcuna empatia e il mondo che racconta è sì reale, ma si fatica a entrarci davvero.


Una lettura che non mi ha però mai annoiata, anche se forse le terminologie tecniche sono troppe, e ho letto volentieri ma, lo ammetto, poco mi ha lasciato.


3/5




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