"Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero. Oltre, naturalmente, alla mia stessa vita e a qualche memoria biologica, che non sono certa di saper distinguere dalla suggestione e dal mito"
Inizia così il libro di Maria Grazia Calandrone, "Dove non mi hai portata".
Basta questa frase a farvi capire il livello di letteratura a cui si va incontro leggendo l'opera di questa donna, di cui mi sono follemente innamorata.
Dopo "Splendi come vita", il libro dell'anno scorso con cui era entrata nella dozzina del Premio Strega (che recupererò a breve) e in cui esplorava il rapporto con la madre adottiva, in questo nuovo racconto la Calandrone si occupa della madre biologica, che l'ha abbandonata quando aveva nove mesi, lasciandola, avvolta in una coperta, sotto un albero in un parco di Roma, senza un biglietto ma con una lettera inviata ad un giornale in cui erano indicati i suoi dati anagrafici e la volontà di togliersi la vita insieme al compagno (nonché padre).
Ripercorre le tappe della sua vita cercando di metterne insieme tutti i tasselli, come in un puzzle, e nel tentare di ricostruire la breve vita della madre e gli ultimi istanti, ci catapulta con tutte le scarpe, in quegli anni, gli anni sessanta nella provincia povera e desolata del Molise, in cui la condizione della donna era ancora di totale sottomissione, in cui una donna adultera pagava con il carcere il suo peccato. E con sguardo lucidissimo racconta schegge interessantissime di storia d'Italia.
La storia di Lucia (la madre, appunto) è quella di una donna con molte speranze che si ritrova a dover sposare un uomo molto più grande di lei, che non ama, che la picchia, la umilia e la costringe a vivere nell'indigenza. Incontrerà Giuseppe, di cui si innamorerà e con cui concepirà Maria Grazia. Da questo assunto la scrittrice tornerà nei luoghi dove ha vissuto la madre, comincerà ad investigare come una detective professionista, a cercare ed interrogare le persone che l'hanno conosciuta, ripercorrendo le sue origini, scovando ritagli di giornale, cercando un significato profondo per capire le motivazioni che l'hanno spinta ad un gesto così estremo e apparentemente inspiegabile.
"Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo ,
da una vita che forse hai immaginato per me.
Adesso vengo a prenderti e ti porto via.
Lucia, dammi la mano”.
La Calandrone è anche poetessa e lo si percepisce da subito. Con mano vellutata gioca con le parole, le rende musicali e ci affascina con pagine di estrema eleganza.
Un libro toccante, emozionante che lascia sbalorditi per gli eventi che racconta, che paiono di una realtà vecchia di secoli e secoli.
Racconta di una Italia smarrita, alle prese con l'immigrazione di tanti meridionali verso il Nord, alla ricerca di un futuro migliore, con regole coercitive ancora presenti che ha costretto una donna che non si è accontentata, a pagare con la vita la sua scelta d'amore.
Una prosa magnifica. Una grande scoperta.
“A oggi, non esistono modi migliori, per fermare il tempo della nostra vita,
se non morire. Non esistono modi per fermare il dolore del tempo se non il dolore definitivo di andarsene dal tempo, abbandonare i corpi degli altri al loro destino di stare immersi nel tempo. Anche il corpo di una figlia. Abbandonare il corpo di una figlia dentro il tempo e andarsene dal tempo. Un disarmo totale.”
4,5/5
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