"Non li sopporto, avevo dimenticato che era da gente di quel tipo che stavo tornando: quelle idee, quella sinagoga affollata di gente piccola dalla mentalità meschina, contorta per mancanza di sole."
Non c'è niente che mi faccia più paura e mi provochi più rabbia della cecità, il pregiudizio e l'intolleranza causati da una fede senza dubbi.
Quella fede alle quali assurde regole ti obbligano fin da piccolo, che non vede oltre il proprio naso; quella religione, qualunque essa sia (e su questo, chissà come mai, son tutte d'accordo) che discrimina e mortifica la donna.
Di letture sul tema ne avevo già fatte diverse e da tempo avevo sul comodino "Disobbedienza" di Naomi Alderman, di cui posticipavo la lettura proprio per evitarmi quel mal di stomaco che ovviamente mi ha causato.
Disobbedienza è una storia non completamente autobiografica ma che, per molti versi, è simile a quella della scrittrice, cresciuta in una comunità ebrea ortodossa a Londra e poi fuggita per rifarsi una vita a New York.
Le protagoniste sono due donne: la prima è Ronit, la "disobbediente", figlia del Rav, figura simbolo della comunità, scappata da diversi anni a New York. Ronit ora vive una vita da donna libera, è bisessuale e non ci pensa proprio a tornare indietro. Ma un giorno riceve una telefonata dal cugino Dovid che gli annuncia la morte del padre e lei, per quanto non avesse con lui più nessun rapporto, decide comunque di tornare, all'unico scopo di recuperare i candelabri d'argento, ricordo della madre morta molti anni prima.
La seconda protagonista è Esti, moglie di Dovid ed ex amante di Ronit. Le due ragazze sono cresciute assieme, legate fin dall'infanzia da un'amicizia poi sfociata in amore e passione. Relazione tenuta ovviamente nascosta alla comunità, che considera l'omosessualità inaccettabile, ma rimasta nei ricordi e nel cuore di entrambe le donne.
" A volte, disse, penso che Dio mi stia punendo per quello che abbiamo fatto io e te. A volte penso che la mia vita sia una punizione per la mia inadeguatezza, e che l'inadeguatezza a sua volta sia una punizione. Ma penso: se Dio mi vuole punire, così sia. È suo diritto. Ma è mio diritto disobbedire."
L'arrivo di Ronit, come era facilmente prevedibile, causa non poco caos all'interno della comunità ortodossa, caos di cui lei ne gusta l'evolversi. Dagli sguardi imbarazzati degli uomini, alle domande curiose delle donne represse, Ronit gode nel vedere quel gruppo di bigotti vacillare. Farà fatica però a mantenere il distacco da Esti, che non l'ha mai dimenticata, cercando di non ferire il cugino, ragazzo timido e insicuro, su cui grava la responsabilità di prendere il posto del vecchio defunto.
La Alderman, che avevo già conosciuto con il suo ultimo "Ragazze elettriche", scrittrice che è entrata a pieni voti all'interno della mia "libreria femminista", è molto brava nel mostrare, senza eccedere in facili giudizi o rabbia, la gente con cui è cresciuta e dalla quale si è allontanata, che non la accetterà mai in quanto "diversa" ma per la quale mantiene una forma di rispetto, consapevole che alla fine sono tutti vittime di quella fede piena di paradossali contraddizioni e ingiustizie, cieca verso il mondo e verso chiunque non la pensi come loro.
Ronit se ne tornerà a casa non senza aver aperto una breccia e aver portato una speranza di cambiamento, per quel poco che potrà servire, in quella piccola comunità bigotta e retrogada.
4/5