"Tu sei la cosa più bella che c’è. In te tutto è perfetto, Crocchetta, ogni dettaglio. Sei l’ideale platonico di te stessa. Ogni tuo graffio, ogni piccola spellatura è l’inimitabile elaborazione della tua bellezza e del tuo essere selvaggia. Sei come una naiade, come una ragazza cresciuta dai lupi.
Tu sei la mia cosa luminosa in un mondo profano, di tenebra."
Da certi libri si è attratti e respinti allo stesso tempo.
Sai che li amerai e odirai, che metteranno alla prova il tuo cuore.
Uno di questi è sicuramente "Mio assoluto amore", libro d'esordio del trentenne Gabriel Tallent, definito da nientepopòdimeno Stephen King, un capolavoro.
Ecco, capolavoro non è, ma sicuramente un gran bel libro.
La trama è a dir poco appetitosa:
Pressoché isolati in una vecchia casa di legno, a Mendocino, in una parte selvaggia della California, vivono "Turtle", quattordicenne incapace di parlare con gli altri, selvaggia e irrequieta e Martin, il padre, violento e sboccato, maniaco delle armi e convinto di una fine del mondo a cui necessario prepararsi. Il rapporto tra padre e figlia è ossessivo e malato, in Martin convivono più personalità e abusa della figlia sopraffatto dall'amore che prova per lei. Turtle cresce dipendente da un padre di cui pensa di non poter fare a meno ma consapevole che prima o poi si dovrà ribellare e fuggire.
Tallent affronta il tema peggiore di tutti, l'incesto, riuscendo a toccarlo con cautela pur andando nel dettaglio dei rapporti padre-figlia e a farne emergere la parte psicologica, forse anche più grave. Un totale condizionamento psicologico di Turtle, plagiata da un uomo che definire mostro sarebbe riduttivo. Martin è carismatico e persuasivo, legge Cartesio e Kant e riesce a convincerla del suo amore folle e incondizionato. Un amore estremamente possessivo che le nega la possibilità di sviluppare ed esprimere la propria individualità e di uscire da quel piccolo e malato mondo in cui la tiene prigioniera.
Turtle è una giovane donna forte e coraggiosa, una vittima certo, ma anche un eroina, impotente davanti agli orrori che è costretta a subire ma infine capace di reagire e vincere. Il vero debole è infatti Martin, vittima delle sue debolezze e dipendenze, forte solo della sua prepotenza.
Il linguaggio di Tallent è ricco e travolgente, ti incolla alle pagine come i gran bei libri sanno fare.
Forse qualche lungaggine di troppo, soprattutto nella resa dei conti finale, infinita, che ben starà sul grande schermo (non si sa di nessuna trasposizione cinematografica ma mi stupirei del contrario) ma che, sarà l'età, saranno i tanti-troppi thriller letti in gioventù, ho trovato davvero troppo forzata.
Un viaggio verso l'acquisizione di coscienza, una storia al limite del vero ma che tocca temi attuali come l'uso e l'abuso delle armi negli Stati Uniti d'America, della violenza domestica e dell'importanza del chiedere e accettare aiuto.
4/5