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C.

non si giudica un libro dalla copertina


"Ogni persona con un corpo dovrebbe ricevere, al momento della nascita, una guida per morire."


I libri premiati con il Pulitzer dovrebbero essere letti tutti, (è quello che, pian piano, cerco di fare); è il minimo concedere loro tempo e attenzione e quasi mai si resta delusi.

Tuttalpiù ci si può ritrovare fra le mani un testo ostico e apparentemente inaccessibile, ma nessun testo, in fin dei conti, lo è.

È il caso di "Non morire" di Anne Boyer, vincitore nel 2020 nella categoria non-fiction.

È un resoconto frammentario e non lineare dell’esperienza dell’autrice, scrittrice e poeta, donna e madre single alla quale è stato diagnosticato all'età di 41 anni un cancro al seno in stadio avanzato, di quelli da cui, quasi mai, si guarisce.


È un insieme di fatti, emozioni e riflessioni scaturite dalla sua esperienza, riportate con lo sguardo sfuocato e destabilizzante con cui Boyer ha filtrato gli eventi durante e dopo la chemioterapia; è il racconto di una donna malata che analizza e approfondisce la malattia con parole decisamente nuove.

Con una scrittura fortissima e precisa, racconta il suo calvario e accusa il sistema capitalistico americano e la macchina del profitto sulla salute, capace di distribuire in modo iniquo sofferenza e morte secondo sesso, classe sociale, razza.

Non le piace paragonare la lotta al cancro a una battaglia perché è una metafora che non tiene conto di chi muore, ma solo di chi ne esce "vincitore", che è tutto tranne che un eroe.


"Morire di cancro al seno non è una prova della debolezza o del fallimento morale dei morti. Il fallimento morale del cancro non è nelle persone che muoiono: è nel mondo che le fa ammalare, le manda in bancarotta per una cura e poi le fa ulteriormente ammalare, infine le incolpa per le loro morti”.


Trova appoggio morale nelle scrittrici che prima di lei hanno narrato la loro malattia, da Susan Sontag a Audre Lorde, ma rivendica la libertà di ogni donna o scrittrice di non doverlo fare per forza: non è un obbligo morale narrarsi o farsi paladine di qualcosa che le ha colpite ma da cui rifiutano di essere definite.


La sua scrittura è altissima e a tratti glaciale; non aspettatevi un diario intimo e strappalacrime, non vuole scatenare compassione o facili consensi, anzi, massacra ogni luogo comune legato al cancro, instilla dubbi sulle cure chemioterapiche e sul sistema sanitario e pone milioni di quesiti. Questo è un libro che riporrete sullo scaffale pieno di post-it e sottolineature.



"Non sembriamo persone: sembriamo persone col cancro.

Somigliamo a una patologia prima di somigliare a noi stessi."


4/5



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