Una cosa che assolutamente non mi piace fare è vedere un film e poi a seguire leggere il libro da cui è stato tratto.
Lo sapevo, quando mi hanno prestato questo romanzo.
Sapevo che sarebbe stato impossibile lasciarmi alle spalle le splendide immagini di un film che ho amato tantissimo (e di cui abbiamo parlato QUI).
"Chiamami col tuo nome" di André Aciman, scrittore statunitense nato ad Alessandria d'Egitto, è il libro del 2007 da cui è stato tratto l'omonimo film di Luca Guadagnino e, come avrete capito, non ha superato l'esame film.
Non che sia un libro da dimenticare ma Guadagnino e James Ivory, che ne ha scritto la sceneggiatura adattandolo al cinema, lo hanno a mio avviso, migliorato, togliendo il superfluo, rendendolo più leggero ma non meno intenso.
I due innamorati sono collocati in una cornice meravigliosa: una splendida villa nella riviera ligure, in una calda estate degli anni ottanta. Elio, figlio di genitori artisti con mentalità aperta, diciassettenne con la passione per la musica e l'irrequietezza dei suoi anni e Oliver, ennesimo ospite estivo del padre, aitante ragazzone americano ventiquattrenne, bello come una "Muvi star", come dice la madre, all'apparenza indolente e scostante.
La loro storia d'amore rimane dolcissima e scritta con uno stile impeccabile, ma a differenza del film, il romanzo indugia troppo sulla fase iniziale dell'innamoramento e dell'attesa dell'incontro amoroso. Le sensazioni del giovane Elio sono ripetute come un disco rotto, fino alla nausea, arrivando a stancare il lettore che fino a pagina 150 (metà libro) deve sostenere la febbrile, impronunciabile e irrisolta passione nei confronti dell'ospite americano, Oliver.
L'attesa che fomenta il desiderio è senz'altro utile al racconto ma qui veramente si mette alla prova il lettore, che all'ennesimo sospiro, dubbio e ripensamento si spazientisce.
Dalla metà in poi, invece, il romanzo comincia a scorrere e finalmente Aciman ci fa rivivere la passione senza freni della giovinezza; quella che racconta di due ragazzi ma che trascende il genere e, senza censura, fa davvero appassionare.
Si coglie finalmente l'inesorabile desiderio che per tante (troppe) pagine è stato alimentato.
Bello anche il finale, seppure completamente diverso rispetto al film, e ovviamente meraviglioso il dialogo tra padre e figlio, verso il finale, giustamente lasciato quasi invariato anche nella trasposizione cinematografica.
"Avevi una splendida amicizia. Forse più di un'amicizia. E io t'invidio. Al posto mio, la maggior parte dei genitori s'augurerebbe che tutto questo scompaia, pregando che i loro figli si rimettano in piedi. Ma io non sono un genitore del genere. Nella tua condizione, se provi del dolore, coltivalo. E se c'è una fiamma, non spegnerla. Non esser brutale. Asportiamo così tanto di noi stessi per cercare di guarire prima, che quando poi arriviamo a trent'anni siamo già falliti, e ogni volta che ricominciamo con qualcun altro abbiamo sempre meno da offrirgli. Ma costringersi a non provare niente per non provare niente — che spreco!"
3/5