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  • S.

non si giudica un libro dalla copertina


E con questo li ho letti tutti. Tutti e sei i romanzi di Elizabeth Strout.

E mai, mai mi sarei immaginata che "Resta con me", l'ultimo che ho letto (ma il secondo che ha scritto) mi potesse piacere così poco, considerando quanto abbia amato tutti gli altri.

E va beh, glielo possiamo concedere.

Non so neanche bene il perché questo romanzo fosse rimasto nei sospesi; forse il mio fiuto di lettrice "forte" (ci chiamano così, noi che leggiamo più di DUE libri all'anno) aveva captato l'anomalia. Perché di questo si tratta, un'anomalia. Per quanto mi riguarda, un'eccezione.

A questo punto posso dire che la bibliografia della Strout è quasi perfetta e rimane senz'altro uno dei miei autori preferiti.

Ma quanto mi dispiace, da vera fan, dover ammettere che questo libro non mi abbia lasciato proprio nulla, se non un senso di noia infinito. Già dopo alcuni capitoli ho temuto il peggio. "Magari poi migliora", mi sono detta ma nel frattempo le pagine scorrevano e i miei pensieri vagavano altrove. Brutto segno non riuscire a concentrarsi su quanto stai leggendo. E infatti, le mie prime sensazioni erano giuste.

Si rimane sempre nell'attesa che succeda qualcosa per almeno due terzi del romanzo e alla fine il torpore lascia spazio alla speranza di un finale inaspettato, che avrebbe dato un senso al (piccolo) sacrificio ma che in ogni caso non è arrivato.

Siamo sempre nel Maine, in un piccolo paesino della provincia americana, con le stesse atmosfere che accompagnano tutti i suoi lavori. La solita apparente normalità che di solito nasconde personaggi ben strutturati e profondamente studiati che qui non ho ritrovato. In questo caso sono troppi e anche abbastanza inutili.

Un po' troppa confusione nello svolgimento. Una storia che non decolla, che gira intorno a se stessa senza interessanti sbocchi e men che meno colpi di scena.

La trama, ambientata negli anni 50, in questo caso prevede la crisi esistenziale del reverendo Tyler Caskey di questo piccolo paesino molto religioso della provincia americana, al quale morirà prematuramente la moglie, lasciandolo solo con le due figliolette piccole, di cui ovviamente si dovrà occupare e di una comunità in cui prevalgono pettegolezzi e ipocrisia. In mezzo a questo crogiolo di egoismi e maldicenze Tyler metterà addirittura in dubbio la sua vocazione.

La scrittura della Strout è sempre stata delicata ed elegante e anche in questo caso non è da meno ma siamo lontani anni luce, a mio avviso, dalla meraviglia di Olive.

Ammetto, ad un certo punto, di averlo voluto abbandonare ma il senso di colpa ha prevalso.

Non ho potuto.

Ma solo per rispetto per l'amata autrice.

2/5


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