Ian McEwan ha scritto un un romanzo, definiamolo pure una mistery story, dando voce a un... FETO.
Eh? Cosa? Un suicidio, ho pensato.
Ma non se sei McEwan, che riesce in un prova da scrittore davvero arrivato.
Ci vuole un coraggio ENORME per decidere di scriverlo e un talento ENORME per uscirne "vivi" ma non solo ne è uscito vivo, ne ha tirato fuori un personaggio acuto, divertente, cinico, spiazzante.
Un non-nato Amleto che si domanda se "essere o non essere, nascere o non nascere?", testimone involontario di un crimine commesso dalla madre e dallo zio ai danni di suo padre; che vorrebbe fermare ma che non può, pur provandoci.
Questo feto senza nome e senza sesso, che ascolta e riflette sul mondo esterno, capendolo e giudicandolo come raramente un adulto riesce a fare:
"Spetta allo stato il monopolio della violenza, la gestione di un potere comune che ci mantenga tutti in soggezione"
"Non è stato l'odio a uccidere gli innocenti, ma la fede, quello spettro famelico, tuttora venerato, perfino tra i più miti. Molto tempo fa qualcuno ha decretato
virtuoso possedere certezze immotivate"
McEwan, come pochi altri, gode della straordinaria possibilità di poter scrivere quello che vuole (opportunità solo dei grandi) e di riuscirci quasi sempre molto bene; di scegliere temi discussi e attuali come nel penultimo "La ballata di Adam Henry" (bellissimo) su l'obiezione di coscienza medica fino a prendere Shakespeare e usarlo come gli pare.
In un intervista, interrogato sul perché della scelta di un tema così rischioso, dice: " Sono molto attratto dalla possibilità di avere il reale, il banale e il fantastico che scorrono assieme. Se accetti che un feto intelligente possa riflettere e preoccuparsi come me per i destini del mondo che sta per raggiungere, sei libero".
Io sono una di quelle che Ian lo compra a prescindere, ora mi domando solo con cosa mi stupirà la prossima volta.
4,5/5