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C.

non si giudica un libro dalla copertina


"Non dirò mai che, se dovessi ricominciare da capo, rifarei le stesse cose allo stesso modo.

Sono contento di avere dei rimpianti. Ognuno si rassicura come può, io preferisco rassicurarmi angustiandomi."

Melchior Marmont, anziano produttore cinematografico e vedovo di una moglie bellissima e molto più giovane di lui, riesce dopo anni di tentativi, ad acquistare la casa della sua giovinezza dove passava tutte le estati con la madre e i fratelli.  

La sua rubrica è piena di nomi celebri, ormai morti e Melchior, sopravvissuto a tutti e, giunto a una resa dei conti con se stesso e la sua vita, decide, ormai 82enne di colmare il suo debito di riconoscenza con la settima arte portando a compimento il suo primo film da regista “La demenza del pugile”, film autobiografico e visionario, tratto da un libro di memorie scritto assieme al figlio. Mentre gli amori scomparsi e i fantasmi del passato si addensano in un’allucinata nebbia di ricordi, questo protagonista beffardo e straripante ci coinvolge in una resa dei conti con sé stesso e le sue paure.

Il libro, uscito nel ’92 e con il quale l’autore, Francois Weyergans si è aggiudicato il Premio Renaudot, è a tutti gli effetti un libro sulla memoria, vera protagonista. La scrittura semplice e il susseguirsi di piccole storie lasciano il libro galleggiare in superficie e lo scrittore, seppur bravo, non riesce a entrare mai nell’animo del protagonista e quindi ad emozionare.

Un libro freddo e a tratti pretenzioso (in questo, molto molto francese, permettetemelo) che scorre facilmente ma non colpisce mai.

Chiara la metafora con il pugilato: tutta la vita si svolge su una sorta di ring dove il più delle volte si è costretti a lottare contro se stessi e la sola regola è che bisogna battersi senza arbitro e senza gong indipendentemente dal numero degli avversari.

Quanto alla demenza, Melchior non vi vedeva più una diagnosi medica, ma un’indicazione della sua epoca.

"Quando lascerò questo pianeta ci sarà un miliardo di analfabeti"

Forse la mancanza più grave sta nel fatto che l’autore non abbia mai neppure tentato di addentrarsi nell’anima del protagonista, ha semplicemente lasciato che i ricordi di Melchior ne delineassero lo spirito ed è un peccato perché nel libro ci sono frammenti interessanti e molto visivi e cinematografici ma la letteratura è un po’ più complessa e snob del cinema e non si accontenta.

Forse, visto su uno schermo anziché letto sulla carta, sarebbe risultato migliore.

2,5/5

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