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  • C.

non si giudica un libro dalla copertina


„Non voglio che nessuno mi veda, nemmeno la mia famiglia. Fatemi cremare, distruggete il mio corpo.

Vi supplico: niente funerale, niente cerimonie. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo a giugno.

Ma io non sarei mai la brava moglie di nessuno.

Sarà molto più felice senza di me. Dite a mio padre che, evidentemente, ho fin troppe cose in comune con mia madre“

Questo è il biglietto di addio della 23nne Evelyn McHale, che il primo maggio del '47 sale sull'Empire State Building e si getta dall'ottantaseiesimo piano finendo sul tetto della Limousine di un diplomatico americano. Un giovane fotografo passerà accanto al corpo pochi istanti dopo lo schianto e lo fotograferà regalando l'immagine di Evelyn all'eternità. Quella foto, finita poi sulla prima pagina del LIFE mostra il bellissimo viso della ragazza miracolosamente preservato, le labbra rosse, le mani guantate che sembrano giocare con il filo di perle intorno al collo, la posa innaturale ma elegante, le caviglie incrociate e lei, come addormentata, su un letto di lamiera.

L'immagine è stata ispiratrice di artisti e musicisti come Andy Wharol e David Bowie che hanno in qualche modo cercato di "capire" il gesto di Evelyn e tramutarlo in arte.

Nadia Busato nel suo " Non sarò mai la brava moglie di nessuno", edito da SEM, prova a ricostruire la vita della McHale e lo fa in dieci capitoli in cui dà voce a 10 personaggi diversi. Inizia dalla madre che, in fuga da una vita soffocante, abbandona i tanti figli e il marito quando Evelyn è ancora bambina, gesto che probabilmente segnerà fin troppo la vita della ragazza.

Dà voce alla sorella maggiore da cui Eve viveva nei giorni del suicidio e che viene chiamata a riconoscerne il corpo; al fidanzato che avrebbe dovuto sposare il mese successivo e che ne ricorda il bacio scambiato con lei alla stazione qualche ora prima; al poliziotto in servizio quel giorno, a una ex conoscenza, al fotografo che avrà la fortuna di scattare una delle fotografie più famose di sempre ma che non scatterà più nient'altro per il resto della vita. Parlano anche il primo suicida dall’inaugurazione dell’Empire State Building, ed Elvita Adams, che tentò di uccidersi lanciandosi anche lei dall’ ottantaseiesimo piano ma si salvò atterrando sul cornicione dal piano inferiore, spinta dal vento.

Nell'ultimo capitolo, a parlare, è ovviamente Evelyn: Inquieta e tormentata, a disagio in un mondo che non la rappresenta, dai ruoli femminili già definiti come tante gabbie dalle quali sembra impossibile uscire, quel mondo che lei rifiuta e che la depressione rende insopportabile.

La Busato, dopo anni di ricerche e grazie a una scrittura bellissima, chirurgica ma al contempo toccante, scrive un libro originale ed elegante provando a "spiegare" un suicidio, per quanto possibile. A cercare di comprenderlo e accettarlo.

Per me è stata una bellissima scoperta e penso che continuerò a seguirla, una scrittrice notevole ma ancora di più una donna sensibile, che in punta di piedi entra nella vita privata di un'altra donna dandole quella voce che le è mancata.

"Quando ti dicono che l'amore ti fa felice, ridi forte, non credergli, non farti fregare. Ognuno si salva da solo.

...

E se d'amore non si muore mai abbastanza, non è detto che poi si sopravviva. Perché qualcuno muore quando vuole morire?

No, non lo sapremo mai davvero che cosa è successo."

4/5


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